Nuovo splendore della chiesa

Il suo spazio liturgico per la celebrazione.
Il luogo dell’assemblea cristiana.

Con l’installazione del Fonte Battesimale e dell’Ambone o tribuna per le letture liturgiche e l’annuncio della Parola, finalmente è giunto a completamento il lavoro di ristrutturazione della nostra chiesa/pieve parrocchiale di San Michele Arcangelo. Dopo il felice restauro della cappella del SS.mo Crocifisso, erano stati compiuti i lavori di  ricostruzione dell’altar maggiore in pietra, sulla base del ritrovamento delle due colonnine e del paliotto centrale appartenenti all’antico altare, forse settecentesco. In più, si era proceduto alla ripulitura della cappella dell’Addolorata posizionamdo sulla parete destra l’Icona delle donne al sepolcro, opera di Ivan; alla levigatura, stuccatura e lucidatura completa del pavimento; alla tinteggiatura dell’edificio sacro e all’installazione dei lampadari sulle navate laterali, insieme alla rinnovata illuminazione del soffitto della navata centrale.
Ora, a completamento dello spazio celebrativo, si è giunti alla ricostruzione in pietra del fonte battesimale e dell’ambone, sullo stile dello stesso altare. Così si è creato, in modo bello e armonioso, il luogo dell’Assemblea cristiana, uno spazio vivente da abitare con una liturgia avvolgente e coinvolgente.

Celebrare in modo cristiano.

Nostro compito e impegno, attuando lo spirito del Concilio Vaticano II, è quello di imparare l’arte di celebrare in modo cristiano il “mistero della nostra fede”. Si tratta di manifestare un mistero, quello di Dio stesso, che è invisibile e totalmente altro, e che nel contempo si rivela all’umanità.
La celebrazione cristiana è propriamente epifanìa, rivelando l’immensità dell’amore di Dio e svelando il significato profondo dell’esistenza umana in tutte le sue dimensioni. Primariamente, è Dio che si è manifestato attraverso mediazioni umane: il Verbo si è fatto carne; la parola di Dio ha preso corpo in un popolo e in una storia attraverso il Figlio Unigenito, ed è diventata Scrittura, cosicché la fede in Cristo Salvatore viene recepita e trasmessa attraverso dei riti e dei simboli: l’immersione nell’acqua accompagnata dalla Parola, la frazione del Pane, la condivisione del Calice. Ma la liturgìa è anche “un’epifanìa o manifestazione della Chiesa: essa è la Chiesa in preghiera; celebrando il culto divino, la Chiesa esprime ciò che è” (Giovanni Paolo II).

Il luogo dell’assemblea ecclesiale per la celebrazione liturgica.

Il luogo in cui i cristiani si radunano per celebrare il Signore è qualificato dalla celebrazione, ma a sua volta il luogo influenza la celebrazione stessa.
«L’assemblea celebrante genera lo spazio liturgico, plasma l’architettura della chiesa, perché essa stessa è generata dalla parola di Dio. Dio, attraverso la sua Parola, costituisce un popolo in assemblea santa. Ma c’è anche un rapporto diretto tra lo spazio architettonico, la disposizione delle pietre, la collocazione degli elementi, la realizzazione degli spazi e l’edificazione della comunità cristiana, che esprime una determinata idea di Chiesa» (E. Bianchi).
Il luogo è un elemento indispensabile alla celebrazione. E’ luogo d’incontro: incontro con gli uomini, fratelli e sorelle in Gesù Cristo, e incontro con il Signore. E’ uno spazio santo che esprime l’alleanza, uno spazio orientato che indica un cammino da compiere con Cristo e dietro a lui. La chiesa, luogo del battesimo, dell’ascolto della parola e della celebrazione dell’eucaristia, è essenzialmente un “luogo pasquale”.
Quando si entra in una chiesa, spesso le prime impressioni sono sufficienti per farsi un’idea del luogo: è un luogo che dà testimonianza di un Dio vivente, oppure di un Dio superato o addirittura abbandonato? Noi non siamo mai abbastanza attenti al decoro e alla dignità dei luoghi. La chiesa è segno della Chiesa, spazio abitato dall’assemblea, spazio vivente!
«E’ necessario che la disposizione generale del luogo sacro sia tale da presentare in certo modo l’immagine dell’assemblea riunita, consentire l’ordinata e organica partecipazione di tutti e favorire il regolare svolgimento dei compiti di ciascuno» (Ordinamento generale del Messale romano, 294).
Tutto parte dall’assemblea, fedeli e ministri. Un’assemblea “avvolgente”: è essa che qualifica lo spazio. E proprio perché è lo spazio dell’assemblea (ekklesìa), la chiesa è il luogo dell’incontro con il Signore, il luogo della preghiera, della trasmissione della parola di Dio, della celebrazione dell’eucaristia, dei sacramenti e di altri eventi pubblici o familiari, diventando così un luogo di memoria (“è là che sono stato battezzato, che mi sono sposato!”). In quanto realtà primaria, l’assemblea deve avere una percezione di se stessa quando celebra. Solo così può essere inteso come tale il “noi” della preghiera eucaristica. La parola di Dio ascoltata può suscitare una risposta dell’assemblea solamente se quasta ha coscienza di aver ricevuto collettivamente tale parola.
Ora vogliamo presentare e spiegare i molteplici spazi celebrativi della nostra pieve intitolata a San Michele Arcangelo in Monte Porzio.

Uno spazio architettonico che guarda ad Oriente.

Le basiliche e chiese cristiane, fin dall’antichità, avevano la posizione dell’àbside che guardava ad Oriente (in greco: anatolé; in latino: oriens/che sorge), poiché il sole era il segno del Messia/Cristo che sorge dall’alto e che viene. Sono significativi in tal senso alcuni testi del NT:
«Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,
ci visiterà un sole che sorge dall’alto,
per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra di morte»
(Luca 1,78-79)
«Di nuovo Gesù disse: “Io sono la luce del mondo;
chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”»
(Giovanni 8,12).
Anche la nostra chiesa-edificio è significativamente “orientata” verso il sorgere del sole, appunto ad Oriente. In tal modo viene sottolineata la venuta del Cristo che spunta dal cielo e la sua presenza in mezzo all’Assemblea liturgica che si raduna attorno a Lui nel giorno della risurrezione.

L’àbside.

Entriamo anche noi nell’edificio incamminandoci verso Cristo Signore insieme ai fratelli e sorelle nella fede, per celebrare la gloria di Dio che dona salvezza e pace. Sullo sfondo ci appare l’àbside e, nell’alto della semicalotta o “catino”, la “croce gloriosa del Signore risorto”. L’àbside è la parte cava dell’edificio, fornita di volta a pianta semicircolare, che è posta al termine della navata maggiore. Questo spazio si trova davanti all’assemblea: è ciò che le dà un orientamento. L’àbside èvoca la gloria di Dio, davanti a noi. E’ lo spazio che manifesta l’assenza di Colui che si rende presente. E’ lo spazio celeste o escatologico che ci orienta verso il Regno a venire. La croce pasquale evoca anche la resurrezione: si pensi alle croci romaniche o dorate o a quella di San Damiano d’Assisi.

Il battistero con il fonte battesimale.

Il primo sito essenziale, che ci si presenta in fondo alla chiesa sulla destra, è lo spazio corrispondente all’assemblea liturgica che si raduna “là dove sgorga il fonte battesimale”. Il battistero inteso non solo come luogo dell’immersione battesimale, ma come primo e originario spazio sacramentale ed ecclesiale.
La sua antica singolare collocazione al di fuori o all’entrata della chiesa –ove è possibile a causa dello spazio e della struttura dell’edificio sacro- sta a sottolineare l’ingresso mediante il battesimo nella famiglia dei figli del Padre. Tutto deve concorrere a fare di questo spazio un autentico luogo di “iniziazione” e un “atrio simbolico” per chiunque entri in chiesa, affinché continui ad essere uno spazio di memoria per tutti i battezzati.
Anche la forma ottagonale del fonte battesimale esprime una dimensione misterica connessa col battesimo: la “memoria escatologica” dell’ottavo giorno, ossia la teologìa della domenica giorno del Signore e della risurrezione memoria anticipatrice del giorno eterno. A partire dai dati biblici, i Padri della Chiesa hanno dato diversi nomi alla domenica che non solo ne indicano la portata e le valenze teologiche, ma ne plasmano anche e orientano la spiritualità cristiana. I cristiani sono passati da una designazione della domenica derivata dall’ambiente giudaico (“primo giorno dopo il sabato”, “primo giorno della settimana”) a una denominazione che vuol esprimere la novità cristiana (“giorno del Signore”, “giorno domenicale/signorile”); poi, per un fine missionario, a una designazione mutuata dall’ambiente pagano (“giorno del sole”). In seguito incontriamo la dizione “giorno della risurrezione” (anastàsimos heméra) cara ai Padri greci, che indica non soltanto il giorno di Pasqua ma ogni domenica.
Infine viene la denominazione di “ottavo giorno”, dovuta probabilmente all’espressione giovannea “otto giorni dopo” (Gv 20,26) e, comunque, connessa al fatto che la domenica seguiva il settimo giorno ebraico che festeggiava il compimento della creazione. «La forza di questa “strana” espressione sta nel voler indicare una novità e un’ulteriorità rispetto al ciclo settimanale: poiché la cifra “otto” indica la pienezza che trascende il tempo e lo spazio, l’ottavo giorno è la denominazione che fa della domenica la figura del mondo futuro, la figura dell’eternità… Secondo Origene (183-254 d. C.), l’ottavo giorno è “il simbolo del mondo futuro, perché nasconde il dinamismo della risurrezione”. L’evento pasquale è un fatto aperto al futuro e dinamico, ordinato alla venuta del Cristo nella gloria alla fine dei tempi, è profezia del Regno, è caparra della resurrezione dei morti nell’ultimo giorno» (E. Bianchi).
In tal modo, la forma ottagonale del fonte battesimale esprime la novità ultima e definitiva della vita senza tempo che l’uomo riceve in Cristo nel battesimo, appunto la vita eterna. E, secondo la Scrittura dell’Antico e del Nuovo Testamento, sono beati coloro che in questo grembo “nascono da acqua e Spirito” (Gv 3,5), “con un’acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo” (Tt 3,5-7), “con il lavacro dell’acqua mediante la Parola” (Ef 5,26; cf. Rm 6,4; Ap 22,1-2.14; Es 14,22; Ez 36,25-28; Zac 12,10a; 13,1).
Tale simbolismo biblico-teologico viene espresso dalla splendida catechesi cristiana impartita nel II secolo d. C. e riassunta nella frase della Lettera di Barnaba (11,8) che è stata incisa sul davanzale prospiciente la vasca battesimale del nostro nuovo fonte:
«BEATI COLORO CHE SPERANDO NELLA CROCE DISCESERO NELL’ACQUA DEL BATTESIMO».

Il coro dell’assemblea.

Il coro, composto dal presbiterio e dallo “spazio di gloria” situato sullo sfondo, comprende tre siti o poli essenziali, secondo la tradizione della Chiesa: l’altare, l’ambone e la sede di colui che presiede. Sono i tre punti verso i quali convergono gli sguardi dell’assemblea poiché manifestano la presenza del Cristo.

1) L’ALTARE, LUOGO DELL’EUCARISTIA

L’altare, posto al centro, è simbolo della mensa del Signore attorno alla quale è riunita tutta l’assemblea. Esso non è un semplice arredo e neppure una mensola a “supporto di fiori, candelieri e oggetti ingombranti che nulla hanno a che farre con la liturgia eucaristica; gli stessi candelieri possono essere opportunamente collocati a fianco di esso (Ordinamento generale del Messale romano 305).
L’altare è il luogo della celebrazione del dono vitale di Cristo nell’ultima cena e il segno permanente del Cristo sacerdote e vittima; è mensa del sacrificio e del convito pasquale. Esso viene baciato dai presbiteri così come il libro del Vangelo. Il materiale marmoreo con base e ornamento di pietra rimanda all’esaltazione e trasformazione  della materia in forza dell’incarnazione del Verbo di Dio.

2) L’AMBONE, LUOGO DELLA PROCLAMAZIONE DELLA PAROLA

Un ambone in armonia con l’altare, e sufficientemente monumentale da essere un polo liturgico, può manifestare pienamente Gesù Cristo, Verbo di Dio, che si offre a noi per l’alleanza eterna e che ci interpella per suscitare la nostra risposta. Su di esso viene deposto il libro delle Sacre Scritture: davanti all’assemblea santa che vuole essere tale, deve esserci la Parola che il Signore le rivolge. E’ questa autorevole parola di salvezza che crea una relazione tra le persone le quali non si sono scelte, ma si riconoscono come debitrici dell’unica alleanza.
La Parola proclamata chiede l’ascolto: Shema‘ Israel, Ascolta Israele (Dt 6,4). Davanti a noi non abbiamo solo un testo scritto, ma piuttosto qualcuno che parla (Mosè, un Profeta, Gesù, Paolo… e giù giù fino a colui che oggi proclama la Parola). Per noi cristiani, è il Cristo, il Verbo fatto carne che parla all’Assemblea. L’ascolto religioso ha mantenuto “viva” la rivelazione biblica, impedendo che diventasse fossile venerabile da tenere in museo, ma senza conseguenze per la vita quotidiana. I testi biblici, grazie alla comunità (Sinagoga o Chiesa) si mantengono “vivi” e fanno risuonare tali voci ed esperienze di vita per ogni generazione.
Il Concilio Vaticano II (Dei Verbum 21) afferma che il cristiano si nutre «del pane della vita dalla mensa sia della parola di Dio che del corpo di Cristo». Nel quarto Vangelo Gesù annuncia non solo: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna» (Gv 6,54), ma anche: «Chi ascolta la mia parola … ha la vita eterna» (Gv 5,24). Nutrendosi di quel pezzo di pane corpo di Cristo ci si nutre, al tempo stesso, di quella parola del Signore; quel frammento di Pane prende il sapore di quel frammento di Vangelo. Non ci si può nutrire del corpo eucaristico del Signore se non dopo aver ascoltato, accettato e fatto obbedienza alla sua parola.
Per questo, sul prospetto dell’ambone, ora ricostruito in armonia con l’altare, sono stati posti dei simboli richiamanti la Parola che dall’ambone viene proclamata:
– sul frontespizio è scolpita la frase: «LAMPADA PER I MIEI PASSI E’ LA TUA PAROLA, LUCE SUL MIO CAMMINO»,
– mentre sul pilastro cui s’appoggia l’ambone è posta in rilievo una spada in bronzo che sembra penetrare nella pietra, con la prima e ultima lettera dell’alfabeto greco A e W (Alfa e Omega), a significare che Cristo è il Primo e l’Ultimo, l’inizio e il fine delle creazione e della storia.
Il significato di tali simboli è magnificamente spiegato dal biblista Gianfranco Ravasi, nella presentazione della nuova edizione della Bibbia di Gerusalemme:
«Una lampada su un sentiero buio; la pioggia che scende dal cielo su un terreno arido e stepposo; una spada che penetra nella carne: è con questi tre simboli che la parola di Dio si autodefinisce nella Bibbia. Il Salmo 119 vede l’esistenza dell’uomo come una strada avvolta nelle tenebre. Ecco, però una luce che sfavilla:
«Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino» (Salmo 119,105).
Il profeta anonimo chiamato Secondo-Isaia, cantore della liberazione di Israele dalla schiavitù “lungo i fiumi di Babilonia”, concludendo il suo libretto di oracoli disegna il panorama della Terra Santa: una distesa arida e screpolata… Ma a primavera e in autunno, su questo scenario di fuoco e di caldo si stende il velo della pioggia e la terra è percorsa da un brivido di vita. Così è la storia di un popolo morto, fecondato dalla parola divina:
«Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo
e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia,
così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca:
non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero
e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata» (Isaia 55,10-11).
Quella solenne e raffinata omelia della Chiesa delle origini che è la Lettera agli Ebrei vede ramificarsi all’interno del popolo di Dio la stessa pericolosa tentazione che aveva colpito Israele nel deserto sinaitico, la tentazione dello scoraggiamento, dell’inerzia, della nostalgia. Ecco allora la provocazione violenta di una spada che penetra e sconvolge:
“La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio;
essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla,
e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Ebrei 4,12).
“Prendete … la spada dello Spirito, che è la parola di Dio” (Efesini 6,17).
“Vidi uno simile a un Figlio d’uomo …
e dalla bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio” (Apocalisse 1,13.16).
La parola di Dio che viene proclamata davanti all’assemblea deve, quindi, trasformarsi in lampada splendente, in acqua viva, in spada penetrante».

L’ambone della nostra pieve, collocato “dentro” l’assemblea in costante rapporto diretto con i fedeli, è “luogo liturgico” della Parola. Nell’architettura ambonica si trova sottolineata la dimensione della Parola nell’annuncio pasquale, richiamando la tomba vuota quale “monumento della risurrezione” da cui il Cristo risorto parla agli uomini attraverso i Vangeli. Esso, «in quanto simbolo, è presenza efficace dell’annuncio pasquale all’universo mondo» (Crispino Valenziano).

3) LA SEDE DEL PRESIDENTE.

Anche il vescovo o il presbitero che presiede la celebrazione liturgica rappresenta il Cristo, di cui non può prendere né occupare il posto. La sede designa il presidente non come capo bensì come parte integrante dell’assemblea cristiana. Ciò implica che egli non stia in permanenza in posizione frontale, ma che insieme all’assemblea si volga regolarmente verso “Colui che è, che era e che viene”, in modo da consentire la guida della preghiera, il dialogo e l’animazione. Si tratta di rendere chiaramente visibile la presidenza come icona del Cristo servo, guida e maestro, non cessando di essere un fratello che cammina con tutti gli altri e che è chiamato a precederli sull’esempio di Gesù.

Gli altri luoghi periferici.

Vi sono ancora altri spazi ecclesiali: per la confessione e il sacramento della riconciliazione; per la preghiera davanti al Santissimo Sacramento; per la venerazione della Vergine Maria madre di Gesù il Cristo o per la memoria di un santo…
Questi luoghi ovviamente non entrano in concorrenza con il luogo dell’assemblea, ma al contrario la prolungano e ad esso conducono.

Uno spazio vivente da abitare.

Perché lo spazio liturgico sia abitato bisogna che questi luoghi siano utilizzati potendo circolare dall’uno all’altro. Venire all’assemblea della domenica, prendendosi la briga di spostarsi, è già un atto di fede. Entrare in una chiesa, spostarsi da un punto all’altro o lasciarsi spostare simbolicamente da quelli che fanno la processione, è già una liturgìa. “La liturgìa è un cammino come quello dei due viandanti di Emmaus. Essi passano dal “non-conoscere al riconoscere”. Ecco il cammino che ci fa fare la liturgìa: lo “spostamento”, la “conversione del cuore” che essa realizza. Ogni gesto acquista una potenza simbolica che lo oltrepassa. L’utilizzo dello spazio fa delle nostre liturgìe un cammino con Cristo e permette ai nostri luoghi di assemblea di essere segni viventi della Chiesa del Risorto.
In conclusione, l’insieme dell’aula assembleare della nostra pur piccola pieve parrocchiale esprime il mistero cristiano vissuto dai battezzati in Cristo Gesù e celebrato da «un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», come afferma il Concilio Vaticano II (Lumen Gentium  3), riprendendo un’espressione dei Padri della Chiesa, quali Cipriano, Agostino e Giovanni Damasceno. Ogni battezzato che entri in chiesa per partecipare alla celebrazione liturgica nel Giorno del Signore (“Dies Domini”, “Dies Dominica”) non si fermi alla porta di entrata e uscita bensì, procedendo in avanti, passi a fianco del fonte battesimale facendo memoria della propria rinascita cristiana e, con tutta l’Assemblea, si ponga di fronte all’ambone per l’ascolto della Parola e attorno all’altare per la celebrazione eucaristica; infine, giunga alla cappella del Santissimo Crocifisso quale luogo della preghiera personale e contemplativa, che prolunga nella settimana la comunione al sacramento del Corpo e Sangue di Cristo.
Ora esca pure dal luogo in cui si raduna l’Assemblea liturgica, per immergersi di nuovo nel mondo degli uomini e della storia.