La Via Crucis

Il “sacro” oggi e la Via crucis … via lucis,

di padre Costantino Ruggeri


Un commento del critico d’arte Mauro Corradini

1. I secoli della pittura italiana sono segnati dalla vicenda biblica. Come individuale interpretazione di un messaggio o come committenza, il racconto evangelico ha costituito un sostrato non eliminabile nella nostra storia artistica (non è così, per esempio, in campo letterario, dove l’esperienza espressiva viene trasformata dalla cultura laica che comincia ad apparire già dalle origini della nostra lingua). La persistenza del messaggio evangelico nell’arte, pittura e scultura, deriva dalla forza dell’immagine: nessuna parola potrà mai quanto può, per immediatezza e tensione interiore, l’iconografia. E i mille anni della nostra straordinaria storia culturale, che chiese e conventi conservano e tramandano, sono pieni di immagini che parlavano e sovente sostituivano le parole del predicatore e ne accompagnavano l’ènfasi; e le figure rappresentate a volte annunciavano gloria per i fedeli, a volte atterrivano aprendo squarci infernali. Tra speranza e paure si consumavano dunque i vissuti e le aspirazioni degli uomini, e l’iconografia non faceva altro che ribadire questa precarietà umana.
La diretta relazione tra immagine e narrazione rendeva indispensabile l’universo delle forme; e in una storia culturale che vive sulla separazione tra la lingua dei dotti (il latino) e quella del popolo (il volgare), l’immagine ha assunto un peso rilevante; è stata la lingua comprensibile, la parola per tutti. Da qui l’aderenza al racconto, ma da qui anche il passaggio all’uso di simboli riconosciuti e riconoscibili: al punto che basta una Croce per raffigurare un’intera idea, un messaggio che ognuno legge e avverte all’interno del complesso mondo della nostra religione. E’ assai probabile che la storia stessa dell’arte italiana si comprenda soprattutto alla luce della vicenda religiosa. La nostra storia artistica vive dunque, a lungo, sul rapporto tra narrazione e trascrizione del narrato attraverso forme: è la mano di Cristo che ferma l’attenzione degli Apostoli con la benedizione del pane; è il segno di Mosè che percuote la roccia perché esca l’acqua. L’arte si è posta al servizio del racconto, per rendere esplicito un evento ed esprimerne il messaggio.
Tutta la sequenza delle Viae Crucis che ornano le pareti delle mille e mille chiese del nostro Paese non sono altro che una sequenza narrativa che prende forma, rispettando i passi che la Passione del periodo pasquale ripercorre in mille forme diverse attraverso le azioni e i gesti della liturgia.

2. Qualcosa di diverso è accaduto nell’arte contemporanea. Nel giro di boa tra il XIX e il XX secolo l’arte ha cercato nuove forme e nuove vie; ha tentato, come avveniva con le ricerche del dottor Freud, la via interiore; ha rivolto gli occhi non più alla bellezza del Creato, ma a quel crogiolo (abisso, per alcuni) di contraddizioni e tensioni rappresentato dalla nostra psiche, dall’incontro tra pulsioni e freni che la ragione e la cultura pongono a noi tutti.
L’arte non può più aggrapparsi alla ferma certezza del racconto, con le sue regole, i suoi simboli, le sue procedure; è entrata anch’essa in un periglioso cammino, dove vengono meno le certezze e la relazione tra forma/figura/segno e raffigurazione. Annotava in una pagina di Diario, oltre mezzo secolo fa, Renato Guttuso che nella storia recente si incontrano Nature morte più drammatiche di tante Crocifissioni, fermate sul limitare della narrazione superficiale e senz’anima. Per la stessa ragione, si è instaurato di necessità un contrasto, difficile da sciogliere, tra liturgìa (con i suoi obblighi e le sue parole necessitate) e forme (con i differenti ma non meno impegnativi obblighi strutturali).
E’ stato difficile, ma non impossibile, essere a un tempo moderni e profondamente aderenti alla parola evangelica. Si è cercato a volte nel segno primitivo, a volte nel vigore espressionista, la formula che consentisse all’arte di rimanere fedele ai cammini tracciati dalla sua peculiare ricerca e, nel contempo, adempiere a quello che Paolo VI ha indicato, quaranta anni fa, come còmpito privilegiato dell’arte: esprimere il cuore, il sentimento, la ricchezza e la bellezza del sentire religioso. Perché questo, dal punto di vista della Chiesa, è il cammino dell’arte: mantenere intatto il valore esemplare del messaggio e contemporaneamente non tradire quelle ricerche che hanno reso l’arte del secolo appena chiuso uno degli episodi più ricchi dell’intera vicenda artistica.
Compito difficile, che sovente ha perduto sé stesso in formule vuote, superficialmente narrative ma senz’anima, oppure, in forme opposte, ha perduto il messaggio liturgico, poiché l’artista si sentiva trascinato dall’enormità delle inquietudini interiori: tra il silenzio e la parola vuota, l’arte di carattere sacro del nostro secolo ha dovuto muoversi tra due versanti ugualmente devianti, almeno rispetto al compito che la Chiesa chiede.

1.E’ assai probabile, conoscendone la cultura e la lunga vicenda interiore, che padre Costantino Ruggeri avesse in mente tutto questo e altro ancora, quando ha voluto realizzare la sua Via Crucis in 15 stazioni per la chiesola di Santa Maria Assunta in Monte Porzio, l’antica “chiesa dei signori conti” che affianca il Palazzo Pubblico (un tempo Municipio) del Comune marchigiano.
Anche a Costantino Ruggeri probabilmente sono venuti i dubbi di fermarsi sulla soglia di una narrazione; o al contrario di perdersi in un percorso che ha, nel suo caso, mille contatti con la natura spirituale della nostra vita, ma avrebbe potuto non chiudere l’evento evangelico nel percorso di Passione, che prende l’avvìo nell’Orto del Getsemani e si conclude con la gloria della Resurrezione: questa è la vicenda. Narrarla sarebbe inutile ed offensivo, dal momento che tutti la conosciamo attraverso le mille parole che nelle chiese abbiamo ascoltato. Ricordare Pilato o Caifa, la flagellazione o la salita al Calvario, fino al dialogo con il ladrone e la promessa del paradiso imminente, può sembrare quasi ozioso in chi vive un contesto, culturale prima ancora che religioso, come il nostro.
Ruggeri assume su di sé la forza e il segno della cultura espressionista. Chi conosce la sua opera, la sua lunga esperienza pittorica che affonda negli anni del secondo dopoguerra, sa bene che tutta la sua pittura si snoda sui percorsi espressionisti. Sono quelli che consentono al pittore di meglio indagare i messaggi emotivi che coincidono, in lui, con quelli della fede. E’ tuttavia consapevole che nell’economia del racconto, nella comunicabilità degli episodi, sarebbe fuorviante utilizzare colori non mimetici, o con modificazioni mimetiche che non consentono al fedele di identificare i protagonisti della storia. Anche per questo la figura del Cristo si adegua a una tradizione che, in una terra appenninica a cavallo tra Umbria e Marche, forse risale alla vicenda terrena di santo Francesco, nel cui ordine minorile padre Costantino ha scelto di vivere il proprio incontro con Cristo. E’ un Cristo riconoscibile secondo le logiche di una iconografia consueta, quello di Ruggeri.
Allora l’accelerazione espressionista si compie per segno: un contorno netto, a squadrare figure e forme, pervade l’intera vicenda e le 15 stazioni. Tutto appare come costruito con la pietra, con la medesima durezza di una vicenda che nella nostra cultura costituisce l’esempio universale del dolore; e solo alla fine, nella 15^ tela, il dolore sembra sciogliersi nei rosa leggeri della Resurrezione, nella gioia dell’ascesa al Padre. La scelta segnica si lega alla vicenda poetica del pittore bresciano; e suggerisce anche una sintesi narrativa che rafforza le ragioni emotive: volendo proprio esaltare l’individuale, intuitivo prima ancora che conoscitivo, incontro del fedele con la passione di Cristo, Ruggeri elimina le forme dettagliate del racconto e si apre alla estrema rarefazione delle figure. Tutto è racchiuso in una sintesi che consente di entrare dolorosamente, ma con speranza, in quel cammino di dolore che porta alla redenzione: ed è una lettura che va segnalata al merito di un pittore che ha voluto confrontarsi con la contemporaneità, senza rinunciare né ai moti della fede né a quelli, ugualmente spirituali, del percorso artistico.

 

Chiesola di Santa Maria Assunta e le quindici stazioni della Via crucis … via lucis, dipinte da padre Costantino Ruggeri

Un commento artistico-spirituale di Stefano Troiani

viacrucis1La Via crucis…via lucis della chiesola di Santa Maria Assunta di Monte Porzio, opera pittorica dell’artista francescano padre Costantino Ruggeri, costituisce un racconto figurato di alta e intensa ispirazione artistica, ma soprattutto di profonda e sofferta pietà religiosa.

Le immagini che raccontano i tempi e le vicende della passione e morte sulla croce di Gesù, Figlio di Dio, nascono non tanto dalla conoscenza storica della tragica vicenda, peraltro solida e interamente collocata in un orizzonte di pura e lucidissima spiritualità, quanto sono ispirate da una estatica illuminazione interiore. Esse traducono una devozione che raccoglie e disegna, insieme e fortemente, la fede come memoria e intelligenza d’un evento drammatico e indicibile, che tocca cielo e terra, tempo ed eterno, che rammaglia ed esprime quel sentimento che investe la vita più nascosta e profonda dell’artista: da questa regione più nascosta della vita interiore, risale la composizione iconica. E’ una pittura capace di cogliere, nonché di esprimere in modo efficace e comprensibile, i sensi del mistero di dolore, di morte, di resurrezione con i risvolti di quell’amore supremo che è donazione della vita da parte del Figlio di Dio fatto uomo. E’ una immolazione questa che muta le profondità di un modo di essere del mondo e dell’uomo; e la figurazione rende visibile questa realtà, in quel richiamo costante alla silenziosa meditazione che s’affaccia sull’orizzonte luminoso della glorificazione del Cristo risorto e del sommovimento cosmico che annuncia una trasfigurazione di quanto esiste.

Le immagini sviluppano come una sequenza, capace di ricomporre la verità della tragica vicenda con una carica d’ispirazione e di commozione tanto comprese del dramma rievocato, da riportare quasi nell’interezza la potenza espressiva del racconto evangelico. La crudezza della storia nella raffigurazione si addolcisce per la tenerezza delle forme e l’armonia della colorazione. La sequenza si esprime con lo spirito della pietà e della contemplazione del grande lirismo religioso di Jacopone da Todi. L’artista vuole restituire alla memoria, ma prima al puro sguardo, la figura di Gesù come storia che riguarda ogni spirito e intende riportare la sua immagine al presente, per far rivivere l’evento ed eccitare il sentimento di partecipazione e di compianto.
Tutto il tessuto ricompositivo del racconto evangelico e della tradizione cristiana procede attraverso immagini visive semplici e ingenue, almeno apparentemente; però di fatto quel semplicismo e quella ingenuità ricostruiscono il dramma più inquietante di tutta la storia con grande forza espressiva nei segni e nella intensa rappresentazione pittorica. Queste immagini si allineano con una impostazione scarna ed essenziale dei fatti, scevra di ogni particolare eccitazione di scena, per raccogliersi in spazi di pura spiritualità, quasi al limite della fisicità.

viacucisIl racconto colloca la memoria Jesu, ricomposta in una superiore trasfigurazione, al centro di ogni composizione proposta in un alone di mistero e in una dimensione tutta religiosa che invita alla meditazione e alla partecipazione sacrificale. La figura del Christus patiens è sempre rappresentata, nella sequenza delle immagini, con assoluta divina dignità. Il colore è costantemente tenuto nel minimo delle variazioni e non consente distrazioni. L’immagine, nella sua semplicità descrittiva, invita a concentrare il pensiero e il sentimento unicamente su lo svolgimento del mistero. Il racconto storico, nella sua doppia referenza umana e divina, disloca i personaggi in modo tale che il Cristo si collochi nel punto emergente lo spazio, richiamando di volta in volta la forza di ispirazione su l’oscurità del singolo episodio drammatico, aprendo la meditatio mortis sul conflitto tra l’assoluto amore di Dio e il peccato dell’uomo: e così diviene anche “meditazione teologica” della storia.

In questa pittura del Ruggeri il racconto della passione e della crocifissione di Gesù, compiendosi infine nel lampo della resurrezione, trova la forma più vicina -dopo la musica e la poesia- alla comprensione del suo significato soprannaturale e piega il cuore all’invocazione. In tutto questo percorso figurativo lo scandalo della kénosi, svuotamento e annientamento che è incarnazione, passione, morte, discesa agli ìnferi e resurrezione, si ricompone come poema visivo dove la figura del Cristo, Signore della storia umana e cosmica, si configura nella pienezza della vita e della gloria. Così tutta la storia, tempo e spazio, pensiero e amore, dolore e gioia, morte e vita, si annoda e si illumina nella dimensione del Cristo risorto.

L’artista, forte del senso spirituale che gli deriva dall’essere figlio di san Francesco, intende elevare lo sguardo del cristiano, ma anche dell’uomo come tale, di fronte al Cristo come appello alla fede e alla speranza. Padre Costantino ha raffigurato la storia della passione di Gesù in un racconto visivo che riesce a commuovere il sentimento non solo religioso. E’ un racconto che ha i toni e l’andamento della storia evangelica nella sua semplicità narrativa, nella partecipazione all’umana-divina sofferenza, nel calore commosso della pietà: negli sfondi densi il martirio di Gesù s’avvera avvolto in una luce che rimanda al mistero.