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IV QUARESIMA – 26 MARZO 2017

ANDÒ, SI LAVÒ E TORNÒ CHE CI VEDEVA

Commento al vangelo di p. Alberto Massi OSM Gv 9,1-41

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane». Il capitolo 9 del vangelo di Giovanni contiene un severo atto di accusa contro la cecità di un’istituzione religiosa, per la quale il bene della dottrina è più importante del bene dell’uomo. Il contesto, Gesù esce, o meglio scappa dal tempio, dopo un tentativo di lapidazione, ma, uscendo dal tempio, incontra le persone che non possono entrare nel tempio, gli esclusi. Leggiamo il capitolo 9 di Giovanni. “…passando vide un uomo cieco dalla nascita”, la cecità non era considerata un’infermità, ma un castigo, una maledizione inviata da Dio per le colpe degli uomini. Per discolpare Dio dei mali, si accusava l’uomo. Perché esiste il male? Perché l’uomo ha commesso un peccato, e il Signore lo castiga. “…e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?»”, quindi che la cecità sia una conseguenza del peccato, era indubbio, il problema era sapere se aveva peccato già l’individuo, o i suoi genitori. Gesù esclude tassativamente alcun rapporto tra il male, il peccato e il castigo divino. Dice: non “ha peccato né lui, né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”. Gesù continua l’azione creatrice del Padre e, a questo individuo, dopo aver detto che lui è la luce del mondo, “fece del fango con la saliva, lo spalmò sugli occhi”, sono gli stessi gesti che ha fatto il creatore, nella creazione del primo uomo, Gesù continua la sua azione creatrice. Poi lo manda nella piscina di Siloe, questa piscina importante di Gerusalemme, che significa, sottolinea l’evangelista, l’“Inviato”, perché? Andando verso l’inviato, Gesù, che ha detto di sé: sono la luce del mondo, si recupera la vista. Infatti “Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva”. Ma cominciano i problemi per questo individuo, che non viene riconosciuto, non viene riconosciuto dai vicini, alcuni dicono: è lui, non è lui, ma come fanno a non riconoscerlo? Non è che gli sono cambiati i connotati, prima non aveva la luce degli occhi, ora è tornato a vedere, ha recuperato la vista. Perché non viene riconosciuto? Perché quando si incontra Gesù, si acquista una libertà, una dignità tale che si è come prima, ma si è completamente diversi. E lui, l’ex cieco, risponde non sono io, ma “io sono!”, rivendica per sé il nome divino, il nome esclusivo che, nella Bibbia, è adoperato per Dio, e, nei vangeli, per Gesù. Perché? Come è scritto nel prologo di Giovanni, a quanti lo hanno accolto, a Gesù, ha dato la capacità di diventare i figli di Dio. Allora incomincia una serie di interrogatori, e, per la prima volta, ben sette volte sarà ripetuto, gli chiedono: ”«In che modo ti sono stati aperti gli occhi?»” È questo il tema di questo brano: aprire gli occhi era un segno della liberazione che il messia avrebbe portato de(a)ll’oppressione del popolo. C’è un cieco che ha recuperato la vista, è una cosa buona, ma il popolo non può avere un’opinione, il popolo deve essere sempre sottomesso a quello che pensa(no) le autorità religiose, sono loro che gli dicono se è bene e male, o no. Allora lo portano dai farisei, leader spirituali del popolo, quello che era stato cieco, ed ecco il problema qual era: era un sabato. Di sabato bisogna osservare quello che è considerato il comandamento più importante, c’è una serie di lavori, ben 1521 azioni che sono proibite e, tra queste, c’è fare del fango e curare gli ammalati, quindi qui c’è stata una trasgressione, una violazione del sabato. E i farisei di nuovo gli chiedono come ha recuperato la vista, e danno una sentenza: “quest’uomo”, Gesù, “non viene da Dio, perché non osserva il sabato”. Per loro venire o no da Dio, dipende dall’osservanza o meno della legge. Per Gesù venire o no da Dio, invece, dipenderà dall’atteggiamento che si ha nei confronti dell’uomo, ma, per loro, l’unico criterio di giudizio è l’osservanza della legge. Però c’è dissenso, altri gli chiedono: ma come può un peccatore compiere qualcosa del genere? Lo chiedono di nuovo al cieco, e qui c’è l’ironia dell’evangelista, i farisei ambivano al titolo di guide dei ciechi, e sono ciechi, invece quello che era stato cieco, ora ha riacquistato la vista, lui dice “è un profeta”, loro hanno detto “non viene da Dio”, lui dice è un profeta, quindi viene da Dio. Entrano in campo le massime autorità religiose, i Giudei, che in questo vangelo non indica(no) con questo termine il popolo, ma i capi religiosi, che non vogliono credere che fosse stato cieco. Per difendere la loro dottrina, negano l’evidenza: le autorità religiose, di fronte ai nuovi avvenimenti della vita, non avendo risposte da dare, si intrecciano nell’assolutismo della loro dottrina, negano l’evidenza, pur di non trovare contraddizioni nella loro dottrina, e lo intimidiscono. Intimidiscono i genitori con un interrogatorio, nel quale mettono in dubbio che sia loro figlio, che sia nato cieco, e i genitori rispondono in una maniera, che sembra codarda: noi non lo sappiamo, lui c’ha la sua età, chiedetelo a lui. Perché rispondono così? Lo dice l’evangelista: “questo dissero i suoi genitori perché avevano paura dei Giudei”, i capi religiosi, che “avevano già stabilito che se uno avesse riconosciuto Gesù come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga”. Essere espulsi dalla sinagoga non significa essere cacciati da un luogo di culto, il che non sarebbe poi un gran danno, ma significava l’esclusione dalla vita civile, dalla vita sociale. Con gli espulsi dalla sinagoga occorreva tenere una distanza di ben 2 metri, non si poteva né comprare, né vendere nulla, e quindi era la morte civile. “Di nuovo chiamarono l’uomo”, che, da miracolato, passa ad imputato, e gli dissero: “dà gloria a Dio!”, questa è una formula, un’espressione che significa riconoscere, confessa la verità, anche se viene a tuo svantaggio, a tuo scapito. E la sentenza. Mentre i farisei erano divisi tra chi diceva che era un peccatore e chi diceva ma come fa un peccatore, loro non hanno dubbi: le autorità religiose non hanno mai dubbi, per loro è tutto chiaro: “Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore”, ed ecco qui entra tutta l’ironia dell’ex cieco, che risponde praticamente dicendo: sentite, io di teologia non so niente, io parlo della mia esperienza, e infatti dice “se sia un peccatore non lo so”, questo è affare vostro se sia un peccatore o meno, “una cosa so, che ero cieco e ora ci vedo”, lui parla in base alla propria esperienza, voi dite che è un peccatore, a me non interessa, la mia esperienza dice che per me questo è positivo. L’evangelista qui sta dicendo che il primato della coscienza è il più importante di qualunque dottrina, fosse pure una legge divina: il bene e il male lo decide l’uomo in base alla propria esperienza, non in base a una dottrina, che decreta quello che è bene o quello che è male. Quindi lui dice: io in campo teologico non mi ci metto, parlo della mia esperienza. E di nuovo, per la quinta volta, per ben sette volte gli chiederanno “come ti ha aperto gli occhi?”, è questa la preoccupazione delle autorità religiose, perché se il popolo apre gli occhi, per loro è finita, è la fine di tutto. E, sempre con ironia, quello che era stato cieco, chiede: “ma volete diventare discepoli anche voi?”. Quando le autorità religiose non sanno come rispondere, come ribattere, passano alla violenza, violenza verbale prima, e, se possibile, anche quella fisica, “lo insultarono”, dice tu sarai il discepolo, noi siamo i discepoli di Mosè, loro non seguono Gesù vivente, ma un morto, Mosè, “noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio”, e, poi, con un termine dispregiativo – nei vangeli i capi, i farisei non nomineranno mai Gesù, ma sempre useranno questa espressione – “questo non sappiamo di dove sia”. E qui entra il buon senso dell’ex cieco nato: il buon senso della gente è più vero e più importante dei valori della dottrina, e lui fa un ragionamento molto semplice: ma non si è mai sentito dire che un cieco nato abbia recuperato la vista, se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla. È talmente chiaro, come fanno le autorità religiose a non comprendere questo? Non sapendo come controbattere, gli replicano con violenza: “sei nato tutto nei peccati e insegni a noi”, loro non desiderano apprendere, loro sono quelli che insegnano, “e lo cacciarono fuori”. Il povero ex cieco nato dovrebbe tornare ad essere cieco, per dare loro ragione. Aver riacquistato la vista è un male, perché questa vista l’ha riacquistata attraverso un peccatore. Ma, cacciato dalla religione, non è un danno, perché trova la fede, trova Gesù che lo accoglie, lui dà adesione a Gesù, e il brano termina con una sentenza molto severa di Gesù ai farisei, che ambivano al titolo di guide dei ciechi. Gesù dice loro: “«Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane»”. Qual è la cecità? Quando si mette il bene della dottrina della legge al primo posto, prima ancora del bene degli uomini, questa è la cecità che impedisce di leggere gli avvenimenti della storia.

III QUARESIMA – 19 MARZO 2017

 SORGENTE DI ACQUA CHE ZAMPILLA PER LA VITA ETERNA Commento al vangelo di p. Alberto Maggi OSM Gv 4,5-42

In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo». Il capitolo quarto del vangelo di Giovanni contiene l’episodio dell’incontro di Gesù con la samaritana, episodio esclusivo di questo evangelista. Il brano è molto lungo, ma vediamo almeno gli aspetti principali. L’evangelista ambienta questo incontro in una città della Samarìa, la Samarìa era la regione che stava al centro, tra la Giudea, la regione santa, ed il nord della Galilea, ed era una regione che era stata colonizzata da popolazioni straniere, e quindi il popolo era meticcio, e per questo era disprezzato. “…vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un”, ed è importante qui la terminologia che l’evangelista usa in maniera molto accurata, non è un “pozzo”, ma è la sorgente “di Giacobbe”. Poi l’evangelista dirà che Gesù ha faticato per il viaggio, “sedeva” non presso il pozzo, ma sedeva “sul pozzo”, è un’espressione inusuale, ma per dire che Gesù si impossessa, possiede questa sorgente. Perché è importante questa terminologia ? Perché l’evangelista si rifa al lamento di Dio, contenuto nel profeta Geremia al capitolo 2, quando il Signore dice: “hanno abbandonato me, sorgente d’acqua viva”, è lo stesso termine sorgente, “per scavarsi cisterne screpolate che non contengono l’acqua”. Quindi l’evangelista ambienta Gesù come la vera sorgente, che offre l’acqua, l’acqua dello Spirito. Sottolinea Giovanni l’ora, “era circa mezzogiorno”, e dice che c’è una donna samaritana, che va ad attingere acqua. Non è possibile quell’ora, al pozzo si andava o al mattino presto, all’alba, o alla sera al tramonto. non era mezzogiorno l’ora adatta. Perché l’evangelista ci mette questo dato? Perché mezzogiorno è l’ora, in questo vangelo, della condanna a morte di Gesù. L’evangelista vuol far vedere i frutti della morte, della resurrezione di Gesù. La donna è samaritana, e, come vedremo, è una donna adultera, è anonima, e rappresenta la Samarìa, e qui l’evangelista ci presenta Gesù come lo sposo, che va a riconquistare la sposa adultera, e non la riconquista attraverso minacce, attraverso castighi, ma attraverso un’offerta di un amore ancora più grande. E infatti Gesù, a questa donna, che rappresenta la Samarìa, le dice: “se tu conoscessi il dono di Dio”, lei è andata ad attingere l’acqua, conosce lo sforzo per attingere l’acqua al pozzo, e Gesù invece le vuole offrire qualcosa di diverso, una relazione con Dio che non è più basata sullo sforzo umano, sulle virtù umane, ma sull’accoglienza del suo amore. Dice Gesù: “se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”, ecco la differenza tra la sorgente, dove c’è l’acqua viva, e l’acqua del pozzo. E la replica della donna, gli dice la donna, che già lo chiama “Signore”, quindi c’è già un progresso, “non hai un secchio e il pozzo è profondo”, ecco il contrasto tra la sorgente e il pozzo, “da dove prendi dunque questa acqua viva?”. Ed ecco l’espressione di Gesù: “chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete”, un rapporto con Dio basato sull’osservanza della legge, il pozzo, nella simbolica ebraica, rappresentava la legge divina, un rapporto con Dio, basato sull’osservanza della legge, è sempre un rapporto che lascia l’uomo insoddisfatto, perché non sa mai se ha osservato abbastanza, se ha compiuto le regole, se è a posto o no con Dio. Gesù viene a proporre una nuova relazione con il Padre, e le dice: “ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna»”. L’accoglienza, da parte dell’uomo, dell’amore di Dio, si trasforma nell’individuo in una sorgente zampillante, quindi l’uomo non deve andare più a procurarsi col proprio sforzo l’acqua, quella che dà la vita, ma quest’acqua è interiore, è l’esperienza di un amore comunicato e un amore ricevuto. Quando la persona fa l’esperienza di sentirsi amato generosamente, scopre dentro di sé la forza, l’energia di amare generosamente. La donna si dichiara disponibile ad accogliere quest’acqua, e qui Gesù le chiede di andare a chiamare il marito. Lei replica che non ha marito e Gesù, e qui non è che Gesù fa il moralista, è qualcosa di diverso quello che l’evangelista ci sta presentando, dice: “Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito”. Gesù si rifa alla storia della Samarìa: abbiamo detto che i Samaritani erano una popolazione meticcia, erano stati dei coloni importati dagli Assiri, si erano mescolati con la popolazione presente, per cui adoravano il Dio d’Israele sul monte Garizim, ma poi, su altri cinque monti o colli, avevano eretto cinque templi ad altre divinità. Ecco chi sono questi mariti, il termine marito e signore nella lingua ebraica, aramaica, è identico. Quindi Gesù, a questa donna che si dichiara disposta ad accogliere quest’acqua, le fa presente che però questo non è possibile, se lei rimane nell’idolatria. E gli replica la donna: “Signore vedo che tu sei un profeta”, prima l’ha visto come un giudeo, poi come il signore, come un profeta, e lei si rifa alla tradizione, “i nostri padri hanno adorato su questo monte”, il monte Garizìm, “voi invece dite che è Gerusalemme”, nel luogo del tempio, “il luogo in cui bisogna adorare”, ed ecco l’importante rivelazione di Gesù: è finita l’epoca dei tempi. Il Dio di Gesù non sta più in un tempio, dove gli uomini devono andare, ma l’uomo diventa questo tempio, in cui Dio manifesta la sua santità. E dice Gesù: “credimi”, e la chiama “donna”, che significa sposa. Gesù si è riferito, con questo termine, alla madre, ora si rivolge alla samaritana. La madre rappresenta la sposa fedele, quella alla quale mai è mancato il vino dell’amore; la samaritana è la sposa adultera, che lo sposo riconquista con un’offerta d’amore ancora più grande. “«Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte”, quindi né sul Garizìm, “né a Gerusalemme adorerete il Padre”. Lei si è rifatta ai padri, alla tradizione, Gesù parla di Padre: mentre Dio ha bisogno di un tempio e dei fedeli, il Padre ha bisogno di figli, che lo imitino nel suo amore. E poi continua Gesù: “viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità”, spirito e verità è un’espressione che indica l’amore che è fedele, “infatti il padre vuole che siano”, letteralmente l’evangelista traduce: il padre cerca tali adoratori, “Dio è spirito e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità”. Il vero culto, che Gesù propone, non è un culto che parte dall’uomo verso Dio, in cui l’uomo deve privarsi di quello che ha per offrirlo a Dio, ma il nuovo culto è quello che parte da Dio verso l’uomo, una comunicazione d’amore che l’uomo accoglie, e il nuovo culto che Gesù richiede, è il prolungamento dell’azione creatrice del Padre. Mentre l’antico culto diminuisce l’uomo, il nuovo culto lo potenza, anzi più manifesta questo amore e più si rende assomigliante al Padre. Quindi adorare in spirito e verità, significa collaborare all’azione creatrice del Padre. Ebbene la donna si dichiara ancora una volta in sintonia, ed è a lei, ad una donna adultera, una donna considerata impura, che, per la prima volta, Gesù si manifesta nella sua condizione divina e come il messia. Le dice Gesù: “io sono”, io sono è la rivendicazione del nome divino. La conclusione di questo lungo episodio, è che poi la donna va a chiamare, lascia la brocca, ha capito che quest’acqua, questa brocca non le serve più, perché non c’è più il pozzo dove deve attingere l’acqua, ma c’ha questa sorgente, che Dio, attraverso Gesù, le ha offerto dentro di lei, va a divulgare la notizia al popolo, ed ecco il finale, i samaritani che dicono alla donna: “non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente”, ed ecco la rivelazione, “il salvatore del mondo”. Mentre gli ebrei aspettavano in salvatore d’Israele, gli eretici, i meticci, gli impuri samaritani hanno compreso la vera identità di Gesù, il salvatore del mondo.

II QUARESIMA – 12 MARZO 2017

IL SUO VOLTO BRILLÒ COME IL SOLE
Commento al vangelo di p. Alberto Maggi OSM  Mt 17,1-9

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che
conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».
Nel vangelo di Matteo ci sono quattro monti, l’uno in una relazione con l’altro. Al monte delle beatitudini corrisponde il monte della resurrezione, cioè praticando il messaggio di Gesù, si fa l’esperienza del Cristo risorto e della vita indistruttibile; al monte delle tentazioni corrisponde il monte della trasfigurazione. La condizione divina, secondo l’evangelista, non si ottiene mediante l’adorazione del potere, ma attraverso il dono di se stesso. È quello che l’evangelista esprime al capitolo 17 del suo vangelo. Leggiamo. “Sei giorni dopo”, la datazione è preziosa, è importante: il sesto giorno, nella tradizione
biblica, è il giorno della creazione dell’uomo, ed è anche il giorno in cui Dio, il Signore, sul Sinai manifestò la sua gloria. In Gesù si manifesta la gloria di Dio, nella pienezza della sua creazione.
“Gesù prese con sé”, prende con sé Gesù tre discepoli, i più difficili, quelli che poi avrà come compagni, anche al momento della sua passione. Il primo viene presentato con il suo soprannome negativo, che significa il testardo, Simone, che viene presentato col soprannome Pietro, “Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte”, questa è un’indicazione preziosa che ci dà l’evangelista: ogniqualvolta Matteo usa la formula “in disparte”, è per indicare incomprensione o ostilità, ottusità nei confronti di Gesù e del suo insegnamento, quindi sappiamo già come va a finire il brano. “in disparte su un alto monte”, ecco questo monte è la risposta al monte altissimo, sul quale il diavolo portò Gesù, offrendogli tutti i regni del mondo, a condizione di adorare il potere, cioè la condizione divina si ottiene attraverso il potere. Gesù non è d’accordo, Gesù mostra al suo tentatore, e ricordiamo che è stato Pietro, in questo vangelo, a ricevere da Gesù l’epiteto satana, il suo diavolo tentatore, (che) la condizione divina non si ottiene attraverso il potere, ma attraverso il dono d’amore di sé. “E fu trasfigurato”, letteralmente ebbe una  metamorfosi, “davanti a loro”, l’evangelista mostra qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte. Pietro, nel brano precedente, si era rivoltato contro Gesù, perché non accettava l’idea di un messia che andasse a morire. Ebbene Gesù mostra loro che la morte non è una fine, ma una pienezza di vita, la morte non distrugge la persona, ma la potenzia. “il suo volto brillò come il sole”, il sole è immagine della pienezza della condizione divina, “e le sue vesti divennero candide come la luce”, è l’immagine nella condizione divina, come quando Gesù dirà che i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre, e queste vesti candide sono quelle della resurrezione. Quindi Gesù mostra che, passando attraverso la morte, la sua figura non solo non è stata distrutta, ma addirittura potenziata.
“Ed ecco apparvero loro Mosè”, Mosè è il grande legislatore, “e Elia”, Elia è il grande profeta che, attraverso l’uso della violenza, impose l’osservanza della legge divina, “che conversavano con lui”, è importante questa precisazione. Elia e Mosè, cioè quello che noi chiamiamo l’antico testamento, la legge ed i profeti, non hanno nulla a dire alla comunità di Gesù, conversano con Gesù; come sono i personaggi che hanno conversato con Dio, ora conversano con Gesù.
“Ed ecco”, ed ecco qui il colpo di scena, “Pietro”, presentato con il solo soprannome negativo “disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne”, è importante quello che Pietro ha intenzione di fare. Pietro, ancora una volta in questo vangelo, continua nell’azione di satana, di diavolo tentatore di Gesù, e qual è la tentazione? Il messia, secondo la tradizione, sarebbe apparso all’improvviso, durante la festa più importante d’Israele.
Delle grandi feste d’Israele, ce n’era una, che era chiamata semplicemente la festa, non c’era bisogno di indicarla, di nominarla. Era la festa per eccellenza, era la festa delle capanne: tra settembre e ottobre, per una settimana, gli ebrei vivevano sotto delle capanne, in ricordo della liberazione dalla schiavitù egiziana. Durante questa festa che ricordava la liberazione, sarebbe apparso il nuovo liberatore. “farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”, al centro, per Pietro, non c’è Gesù. Quando ci sono tre personaggi, il più importante sta sempre al centro. Per Gesù non è, per Pietro non è Gesù il personaggio più importante, ma è Mosè. Qual è la tentazione che fa Pietro a Gesù? Ecco il messia che io voglio: un messia che osservi la legge di Mosè, con lo zelo profetico e violento del profeta Elia. “egli stava ancora parlando”, ma a quanto pare Dio non è d’accordo con quello che dice Pietro, “quando ecco una nube luminosa”, immagine che, nel libro dell’Esodo, indica la presenza liberatrice di Dio, “li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva”, naturalmente è la voce di Dio, “questi è il figlio mio”, figlio non s’intende soltanto colui che è nato, ma colui che assomiglia al padre nel comportamento, “l’amato”, cioè l’erede di tutto, “in lui ho posto il mio compiacimento”, le stesse parole che Dio ha espresso su Gesù, al momento del battesimo, e poi un verbo imperativo: ascoltatelo, esattamente “lui ascoltate”. Non dovete ascoltare né Mosè, né Elia, ma è in Gesù che c’è la pienezza della volontà divina, della rivelazione divina, lui va ascoltato. “All’udire ciò, i discepoli”, questo intervento divino provoca sconforto e desolazione, e segno di sconfitta, “all’udire ciò i discepoli caddero con la faccia a terra”, è un’immagine che indica il senso della sconfitta, della distruzione, “e furono presi da grande timore”, perché? Il messia che stanno  seguendo in Gesù, non è quello da loro sperato, il messia vittorioso, il messia che imporrà la legge, il messia violento, ma tutto un altro, e quindi è una sconfitta dei loro sogni di ambizione, dei desideri di supremazia. “Ma Gesù si avvicinò, li toccò”, Gesù li deve toccare esattamente come tocca gli ammalati, come tocca i morti, “e disse: alzatevi e non temete”. Ma la reazione dei discepoli ancora una volta è negativa: “alzando gli occhi non videro nessuno”, cercano ancora, cercano ancora i punti di riferimento della tradizione del passato, cercano ancora Mosè, la legge che dà sicurezza, cercano ancora Elia il profeta, che, col suo zelo, fa osservare questa legge, non c’è più nessuno. Non c’è né Mosè, né Elia, e, quasi a malincuore, l’evangelista scrive: “non videro nessuno, se non Gesù solo”. Gesù solo non gli basta, loro vogliono Gesù, secondo la linea di Mosè e di Elia. “Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro”, quindi Gesù si impone, “«Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti»”. Loro anno sperimentato qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte, ma non si facciano illusione, devono ancora vedere quale tipo di morte Gesù affronterà, la morte che la Bibbia riservava ai maledetti da Dio, una morte infame, la morte della croce. Quindi, per evitare sentimenti d’entusiasmo fuori posto, non dite niente a nessuno, fino a che non sia risorto, cioè prima devo passare attraverso la morte, e di questo tipo di morte.

I QUARESIMA – 5 MARZO 2017

GESÙ DIGIUNA PER QUARANTA GIORNI NEL DESERTO ED È TENTATO

Commento al vangelo di p. Alberto Maggi    OSM           Mt 4,1-11

In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano. I quattro monti che appaiono nel vangelo di Matteo, sono collegati, sono in relazione l’uno con l’altro: al monte delle beatitudini, corrisponderà il monte della resurrezione, cioè, vivendo le beatitudini, si ha una vita capace di superare la morte; al monte delle tentazioni, dove il diavolo offre la condizione divina a Gesù, basta che adora il potere, corrisponderà il monte della trasfigurazione, dove Gesù dimostrerà che la condizione divina non si ottiene attraverso il potere, ma attraverso l’amore, attraverso il dono generoso di sé. Vediamo questo capitolo quarto del vangelo di Matteo, dove vengono presentate queste tentazioni di Gesù, che, per comprenderle meglio, dobbiamo metterle nel loro contesto, non si tratta di tentazioni, le tentazioni sembrano qualcosa che spinge al male, al peccato, nulla di tutto questo. Il diavolo, come adesso vedremo, non si presenta come un avversario di Gesù, ma come un suo collaboratore, uno che vuole il suo successo. Vediamo. “Allora Gesù”, l’allora lega il brano dell’evangelista al battesimo nello Spirito, quindi Gesù è pieno dello Spirito, e lo Spirito gli è stato dato perché lui si è impegnato a manifestare fedelmente la realtà di Dio, “fu condotto dallo Spirito nel deserto”, il deserto richiama tante cose, richiama l’esodo, il cammino della liberazione, richiama il periodo della prova e anche richiama il luogo del potere, dove i banditi, coloro che volevano conquistare il potere, si radunavano, “per essere tentato dal diavolo”, è da ricordare che il diavolo, nel vangelo di Matteo, appare soltanto in questo unico episodio. “Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti”, quaranta indica una generazione, l’evangelista vuol far comprendere: attenzione, questa che adesso sto presentando, non è un limitato periodo della vita di Gesù, ma tutta la vita Gesù, tutta la sua esistenza, fu sottoposto a queste seduzioni. È importante che l’evangelista sottolinea che il digiuno è quaranta giorni e quaranta notti, per indicare che non è il digiuno religioso, che inizia all’alba e termina al tramonto, ma è una prova di forza, perché l’evangelista vuol mostrare che Gesù è uguale, è superiore a Elia, a Mosè, gli altri che hanno digiunato quaranta giorni e quaranta notti. “Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio”, il tentatore non mette in dubbio che Gesù sia il figlio di Dio – al momento del battesimo c’è stata la proclamazione da parte di Dio: questo è mio figlio – ma lo invita, potremmo tradurre meglio per comprendere meglio: giacché sei il figlio di Dio, cioè sei il figlio di Dio? Allora manifesta il tuo potere, perché questa è l’opposizione che c’è nel vangelo: mentre Dio è amore che si manifesta nel servizio, il diavolo è il potere che si manifesta nel dominio. Allora questo tentatore dice: giacché sei il figlio di Dio, “di’ che queste pietre diventino pane»”, cioè usa le tue capacità, il tuo potere, per te stesso. Ma Gesù risponde, e risponderà ogni volta, citando la parola del Signore: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio»”. Quindi Gesù esprime la sua piena fiducia nell’azione del Padre, nel mettere in pratica la sua parola, e Gesù, nel corso del vangelo si vedrà, non userà le propria capacità per alimentare se stesso, ma lui, il figlio di Dio, si farà pane, alimento di vita, per gli altri. “Allora il diavolo lo portò nella città santa”, sotto le vesti del diavolo qui l’evangelista sta anticipando quella che sarà l’azione dei farisei, dei sadducei, dei dottori della legge, tutta l’istituzione religiosa. Il diavolo non si presenta come un nemico, un rivale di Dio, il peccatore, ma il diavolo c’ha i suoi adepti proprio nella casta sacerdotale al potere, che vuole detenere appunto il dominio. Lo porta nella città santa e “lo pose sul punto più alto del tempio”, questo diavolo evidentemente non solo conosce la scrittura, ma conosce anche gli apocrifi, perché nel libro di Ezra, un apocrifo del tempo, si diceva che il messia si sarebbe manifestato apparendo all’improvviso sul punto più alto del tempio di Gerusalemme, questo nel quarto libro di Ezra, un apocrifo. Quindi il diavolo è un acuto conoscitore della scrittura e di tutto il resto. “E gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio,” di nuovo giacché sei il figlio di Dio, l’invito del diavolo è lo stesso che faranno poi, quando Gesù sarà crocifisso, i sommi sacerdoti, gli scribi, gli anziani: se sei il figlio di Dio, scendi dalla croce, quindi manifesta il tuo potere, “gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo”, cioè gli dice: tu sei il figlio di Dio, fai quello che la gente si aspetta, la gente si aspetta che tu appari improvvisamente nel tempio, mettici un tocco di più, gèttati giù con uno spettacolo, che gli angeli ti faranno da gradini. E qui il diavolo, come dicevo perfetto conoscitore della scrittura, cita lui il salmo 91. Ma Gesù, anche questa volta, gli risponde: “non metterai alla prova il signore Dio tuo”, è tutta una serie di richiami ad episodi della vita di Israele, della mancanza di fiducia. La terza volta non è uguale alle altre: nelle prime due tentazioni o seduzioni, il diavolo ha giocato la carta del messia, la carta religiosa, ora il diavolo tira fuori l’asso dalla manica, tira fuori una carta che sa che tutti quanti cedono a questo potere, a questo fascino, il potere della ricchezza. “Questa volta”, quindi non di nuovo, “questa volta il diavolo lo portò sopra un monte altissimo”, il monte altissimo indica il luogo dove abitavano gli dèi, cioè la condizione divina, cioè il diavolo gli offre la condizione divina. Vuoi essere colui che conquista il mondo? Vuoi essere l’atteso delle genti? Devi avere la condizione divina, e la condizione divina come si ha? Attraverso la ricchezza, attraverso il potere. “E gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò”, quindi sembra quasi – e nel vangelo di Luca infatti dice: tutte queste cose sono mie – che il diavolo sia lui il detentore della ricchezza, del potere, quindi coloro che detengono ricchezza e potere, non gli viene dato da Dio, ma gli viene dal diavolo. “Tutte queste cose io ti darò se”, c’è un piccolo particolare, “se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai”. Quindi il diavolo offre a Gesù la condizione divina attraverso l’adorazione del potere, della gloria, e del successo. Ma, come abbiamo detto all’inizio, Gesù risponderà a questa tentazione portando il suo tentatore, nella figura di Pietro, l’unico discepolo al quale Gesù si rivolgerà chiamandolo satana, sul monte della trasfigurazione. Nel monte della trasfigurazione Gesù dimostra che la condizione divina non si ottiene attraverso l’adorazione del potere, ma attraverso il dono generoso di se stesso. “Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana!”, lo stesso appellativo che rivolgerà a Pietro, che sarà il suo satana nel vangelo, quindi Gesù lo rifiuta, “Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”»”, è il pericolo dell’idolatrìa, qui c’è tutto il richiamo al vitello d’oro, alla contaminazione d’Israele con i popoli pagani. “Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli”, gli angeli sono i collaboratori di Gesù, “gli si avvicinarono e lo servivano”, ottiene la protezione degli angeli proprio rifiutando la tentazione, la seduzione. Quindi, riassumendo, non sono tentazioni al male, ma sono seduzioni che Gesù patirà per tutta la sua vita, e da parte dell’istituzione religiosa, ma anche da parte dei suoi stessi discepoli.