NESSUNO HA UN AMORE PIÙ GRANDE DI QUESTO: DARE LA SUA VITA PER I PROPRI AMICI
COMMENTO AL VANGELO DI P. ALBERTO MAGGI OSM
Gv, 15,9-17 (In quel tempo,)
Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
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L’amore non si trasmette attraverso una dottrina, ma soltanto attraverso gesti che comunicano vita. Per questo, dopo aver invitato i suoi a portare molto frutto per diventare discepoli, Gesù afferma: “Come il Padre ha amato me…”, il Padre ha amato il figlio comunicando il suo Spirito, tutta la sua stessa capacità d’amore, “…anch’io ho amato voi”, Gesù parla al passato. Quand’è che Gesù ha amato? Nella lavanda dei piedi l’evangelista dice che Gesù portò al massimo la sua capacità d’amore e l’ha trasformata in un servizio per rendere signori quelli che si consideravano servi. E Gesù per la prima volta chiede “rimanete nel mio amore”. Il servizio liberamente esercitato per amore, volontariamente, è l’unica garanzia di rimanere nell’amore del Signore. Poi Gesù continua: “Se osserverete i miei comandamenti…”, in realtà Gesù ha lasciato un unico comandamento che ha chiamato nuovo perché migliore, sostituisce tutti gli altri. Ma perché Gesù parla di comandamento quando comanda l’unica cosa che non si può comandare: l’amore? Si può comandare di servire, di essere sottomesso, di obbedire, ma non l’amore. Proprio per opporlo ai comandamenti di Mosè. C’è un unico comandamento: quello che l’amore si fa servizio, poi dopo le attuazioni pratiche di questo unico comandamento hanno per Gesù lo stesso valore dei comandamenti. Quindi se osserverete i miei comandamenti, “…rimarrete nel mio amore”, “come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore”. Quindi c’è di nuovo la caratteristica del linguaggio di Giovanni, di questa dinamica d’amore, amore ricevuto e amore comunicato. Poi Gesù continua affermando: “vi ho detto queste cose…”, a che cosa si sta riferendo Gesù? La cura del Padre per la sua vigna. Gesù aveva assicurato che se c’è qualche elemento negativo nella vita del discepolo è il Padre che ci pensa a eliminarlo. “Vi ho detto queste cose perché la mia gioia…”, per la prima volta Gesù parla della sua gioia, quindi la gioia dell’uomo con la condizione divina. Poi più avanti, (nel capitolo 16) Gesù dirà “che la vostra gioia sia completa”. La gioia del credente è la sua caratteristica, la gioia di sentirsi amato, una gioia che si moltiplica nella misura che si è capaci di condividerla. L’invito alla pienezza della gioia è racchiuso tra i due inviti all’osservanza del comandamento. E infatti Gesù continua: “Questo è il mio comandamento: (letteralmente il comandamento quello mio), Gesù lo sottolinea che non sono i comandamenti di Mosè, “che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”, Gesù di nuovo sottolinea l’importanza del servizio. “Nessuno ha amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici”, quello che Gesù ha detto poi lo farà. Al momento dell’arresto sarà lui che offrirà la vita per i suoi. Non è un atto finale nella vita dell’individuo, ma tutta l’esistenza è orientata per il bene dell’uomo. Poi Gesù per la prima volta chiama i suoi discepoli amici, e dice: “Voi siete i miei amici se fate ciò che vi comando”, quindi il comandamento dell’amore che si manifesta nel servizio, questo rende amici di Gesù. Poi qui si legge “non vi chiamo più servi”, ma Gesù non ha mai chiamato servi i suoi discepoli. Qui l’espressione greca è enfatica, potremmo tradurre “non vi ho mai chiamato servi” perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, “ma vi ho chiamato amici”. Gesù che non è venuto per essere servito, ma per servire non ha bisogno di servi, ma di amici. Significa quelli che condividono e collaborano alla realizzazione del progetto del Padre. Non vi chiamo più servi, “perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto quello che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”, quindi di nuovo la condivisione del progetto della creazione. E poi conclude Gesù: “non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto”. Per portare frutto la comunità cristiana deve andare, la comunità dei seguaci di Gesù non deve attendere che le persone vengano, ma deve andare. Verso dove? Verso gli emarginati, verso gli invisibili, verso le persone disprezzate, “e il vostro frutto rimanga”. Perché? Ed ecco l’assicurazione di Gesù, “tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome. Nel nome nella cultura ebraica significa nella somiglianza, nell’identificazione con Gesù, “ve lo conceda”. Il Padre mette a disposizione dei figli la sua stessa forza d’amore. Quindi quando il Padre vede suo figlio che orienta la propria vita per il bene degli altri continuamente gli trasmette energie sempre più grandi di amore. E il brano si conclude di nuovo con l’invito di Gesù: “Questo vi comando,” quindi l’unico comandamento all’interno della comunità dei credenti, “che vi amiate gli uni gli altri,” e questo amore, Gesù ce l’ha detto, si manifesta nel servizio.