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Don Luigi (Parroco Emerito)

luigi_gianantoniLuigi Gianantoni è prete della Diocesi di Senigallia (Ancona). Nato a Monte Porzio (Pesaro e Urbino) nel 1939,  ha esercitato il ministero in altre due parrocchie prima di approdare  nel suo paese natale, lavorando contemporaneamente per otto anni come prete operaio e come cappellano ospedaliero.
Ha conseguito la licenza in Teologia morale all’Accademia alfonsiana nel 1983 e il dottorato in Teologia biblica alla Pontificia università gregoriana nel 1991.
Insegna in scuole parrocchiali di teologia, è inserito nel cammino delle <<Comunità di Ascolto>> e ha ricevuto dal suo Vescovo l’incarico per la graduale realizzazione di un organico itinerario biblico-catecumenale a livello di chiesa locale, nel contesto dell’attuale sforzo di una <<nuova evangelizzazione>>.
Dal 29 agosto 1998 al 30 settembre 2016 è stato parroco di Monte Porzio (Pesaro e Urbino).
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50° ordinazione sacerdotale Don Luigi Gianantoni

17 marzo 2013
50° anniversario Sacerdotale
del nostro Parroco
don LUIGI GIANANTONI
Carissimo Don Luigi
La comunità parrocchiale ti porge i più fervidi auguri.
Ringraziamo il Signore per la tua presenza e
per esserci guida nel  “cammino sulla parola”.
Ci auguriamo che resti  con noi ancora a lungo “perché si fa sera”
Auguri!

 

 

PROGRAMMA DELLA SETTIMANA

Lunedì 11 Marzo ore 21,00 (presso il teatrino parrocchiale):
Racconto della propria esperienza vocazionale di don Andrea Franceschini Presbitero e di Daniela Giuliani dell’Orato Virginum

E’ INVITATA TUTTA LA COMUNITÀ’
PARTICOLARMENTE TUTTI I GIOVANI

Venerdì 15 Marzo ore 21,00 (nella chiesa parrocchiale)
VEGLIA DI PREGHIERA VOCAZIONALE

Domenica 17 Marzo: V di Quaresima
ore 08,00: S. Messa
ore 11,00: S. Messa

ore 17,00: S.Messa del 50° Anniversario di Ordinazione
del parroco don Luigi Gianantoni

ore 19,00: Buffet comunitario e festoso offerto a tutti i Parrocchiani

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IL saluto a don Luigi dei bambini del catechismo al termine della sua ultima Messa come Parroco celebrata il 25 settembre 2016

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LE FAMIGLIE NOBILI

Il complesso dei palazzi del centro storico di Monte Porzio è di origine antichissima, in quanto inizia ad esistere con la venuta dei Conti Montevecchio (ex feudatari del paese). Precedentemente a questi esisteva già a Monte Porzio un castello infatti in un documento datato 1367 si parla di un’investitura fatta dal vescovo di Senigallia nel palazzo di Monte Porzio di Giovanni Guiducci de Malatestis, ma non si sa niente di questa costruzione, e. venne ben presto distrutta. Sono i Montevecchio che danno al luogo l’impostazione che a grandi linee è ancora quella attuale. Sappiamo di sicuro che iniziarono la costruzione dell’impianto intorno ai primi del ‘400 (1420 forse) quando si concentrarono definitivamente e stabilmente a Monte Porzio. Successivamente avviene una grande costruzione dei palazzi attorno alla metà del 1700, sulle rovine di quelli originari.

Attualmente, il complesso si presenta composto da più palazzi che per semplicità indichiamo col nome degli attuali proprietari: appena arrivati alla nostra destra abbiamo palazzo Chiocci – Ginevri, alla nostra sinistra, sempre di lato , palazzo Terni, poi posti. trasversalmente con la facciata rivolta verso di noi, l’ex Municipio, la cosidetta “Chiesuola” ex cappella dei Conti Montevecchio, di fianco palazzo Palestini, palazzo Flaiani e palazzo Palestini.

Fra Palazzo Palestini e palazzo Terni vi è la chiesuola, frequentata dai Montevecchio, che è chiamata così. familiarmente, ma che in realtà è dedicata a Maria Vergine Assunta. Si tratta dell’ex-cappella dei Conti Montevecchio, attualmente chiusa al culto in attesa di restauro (n.d.r. riaperta dopo il restauro nell’Agosto del 2001). Non conosciamo l’anno di fondazione dell’edificio religioso, ma si può ipotizzare che sia già stato parte del primo complesso urbanistico del sec. XV, dopo che la famiglia Montevecchio prese dimora pressoché stabile nella zona. La piccola Chiesa viene rappresentata in una pianta del Castello di Monte Porzio non meglio datata che dall’indicazione piuttosto vaga “Castello di Monte Porzio dal 1660 al 1780”. Per ciò che riguarda l’oratorio e comunque certo trattarsi di una raffigurazione precedente l’anno 1743, anno in cui la costruzione subì un notevole intervento di restauro, che ne muto in parte l’aspetto. Infatti nell’antica veduta, l’edificio si presenta realizzato con mattoncini a vista e con la facciata munita di una coppia di piccole finestre e un rosone centrale. L’intervento settecentesco si può oggi facilmente riconoscere nell’apertura dell’ampio finestrone al di sopra dell’ingresso e nell’aggiunta del cornicione aggettante che, innestandosi alla base degli spioventi del tetto, traduce l’originario disegno a capanna in una classica facciata timpanata. La costruzione risale al ‘700 è ad unica navata, sull’entrata ancora originaria, sopra la porta l’ingresso abbiamo un loggione in legno su cui è sistemato l’organo, raggiungibile da una scalinata a chiocciola; tutta questa parte è in legno intagliato e decorato con dei piccoli rosoni in altorilievo, dei fregi o capitelli (sempre. in legno), con foglie d’acanto.

Sopra la porta d’entrata è posta un’ iscrizione e Il tenore di questa iscrizione è confermato dal seguente rescritto dello stesso Papa Benedetto XIV: “La Santità di N (ostro) S (ignore) Benedetto XIV P (ontefice) M (assimo), attese le Preci ed i Meriti singolari del Conte Pompeo, Rinaldo e Giuseppe, Conti di Montevecchio, Monteporzio, Mirabello, con sua speciale Grazia si è degnata concedere nella pubblica Cappella di Maria Vergine Assunta di loro giuspatronato, posta nel Castello di Monteporzio, loro Feudo, Diocesi di Senigallia, l’altare privilegiato Quotidiano Perpetuo per ogni Messa, che da qualunque Sacerdote si celebrerà per l’anima tanto de’ medesimi Conti, quanto di qualsivoglia altro della loro famiglia passato e futuro: volendo la Santità Sua, che di tal concessione se n’eriga a perpetua memoria nella predetta Cappella Monumento, come appare dalla Grazia segnata il dì 7 Maggio del corrente anno 1748 del suo Pontificato anno VIII° per la Sac(ra) Congreg(azione) delle Indulgenze e S. Reliquie e sottoscritta
T. J. Card. PORTOCARRERO
Erba Protonotarius Apopostolicus”

LE FAMIGLIE LEGATE ALLA CHIESOLA SINO AL 1987

Nelle vicende, nella proprietà e nella custodia di quest’Oratorio familiare, poi aperto al culto pubblico, figurano quattro famiglie: i Montevecchio, la famiglia Latoni, la famiglia Ginevri, la famiglia Gabrielli.

La Famiglia Montevecchio.

La storia, la genealogia, l’importanza di questo casato sono stati ampiamente narrati nel capitolo VI del libro: “Monteporzio e Castelvecchio nella storia”, scritto da Mons. Alberto Polverari nel 1980.

Qui accenniamo alle altre dinastie, meno conosciute, ma presenti in questo tempio e nella storia religiosa della nostra Diocesi di Senigallia.

La Famiglia Latoni.

Inizia con il Marchese Luigi Latoni di Pergola, patriota risorgimentale, che verso la metà del XIX sec. Sposa Maddalena (Senior) di Montevecchio.
Il Marchese Luigi Latoni ebbe tre figli:
Il Marchese Orazio Latoni, Mons. Francesco Latoni, Vescovo di Senigallia dal 1879 al 1880 e Giuseppe Latoni.
Orazio e Giuseppe fecero erigere al loro fratello Mons. Latoni un bel monumento funebre con una classica statua della fede; la statua già collocata nel cimitero delle Grazie di Senigallia, ove era stato sepolto il Vescovo, venne poi trasportata nel Duomo di Senigallia con la salma per interessamento del Vescovo Cucchi. Le spoglie riposano ora presso il “sepolcro dei Vescovi” e la statua è visibile nel cortile dell’Episcopio con quest’iscrizione:
FRANCISCO EX MARCHIONIBUS LATONI EPISCOPO SENOGALLIENSI VITA FUNCTO DIE VII JULII MDCCCLXXXX HORATIUS ET IOSEPH FRATES POSUERE.

La Famiglia Ginevri.
La Famiglia Ginevri è legata alla Famiglia Latoni perché Emmanuele Ginevri, sposò Maddalena (junior) figlia del Marchese Orazio Latoni.
Da questo matrimonio nacquero tre figli: Gaetano, Francesco, Rodolfo ed una figlia Maria sposa Chiocci; da Eleonora moglie di Giuseppe Latoni e da Agnese loro figlia prende nome l’asilo d’infanzia di Monteporzio.
Il Marchese Orazio morì a Monteporzio, di cui era stato Sindaco (dal 1877 al 1887) nel Novembre 1888.
Questo gemellaggio di casati avviene come si è notato tramite matrimoni tra queste famiglie. Si può vedere a tale proposito l’albero genealogico della famiglia Montevecchio pubblicata nel libro d’Alberto Polverari “Monteporzio e Castelvecchio nella storia” a pag. 56-57 e nell’albero genealogico della famiglia Latoni in appendice al presente studio.
E’ d’importanza storica diocesana la famiglia Latoni specialmente per il Vescovo Francesco Latoni e per la parentela dei Latoni con Clemente XIV (Manganelli di S. Arcangelo di Rimini) Papa dal 1769 al 1774.

La Famiglia Gabrielli.
Questa è la famiglia più antica e sin dalle origini legata a Monteporzio
La famiglia Gabrielli, di cui i Montevecchio sono un ramo, era tra le famiglie più nobili ed antiche di Gubbio: noi la ricordiamo perché il Vescovo di Gubbio S. Rodolfo fu scelto da S. Pier Damiani insieme con il Vescovo di Senigallia Teodosio (1059) come censori delle sue opere
Un ramo si sposta nel 1410 a Scapezzano e poi a Senigallia ove s’imparenta con i Mastai, e nel 1510 viene iscritto nel Consiglio dei Nobili di Senigallia,un altro ramo ottiene il feudo di Montevecchio (comune di Pergola) si afferma nella valle del Cesano e viene ascritto alla nobiltà di Fano con Pietro assume il titolo di “De Monte Vetulio”; così in seguito i discendenti continuano, secondo l’uso lombardo, a chiamarsi dal nome del feudo, lasciando poco a poco il nome primitivo.
Ricordiamo in particolare che un membro di questa famiglia è stato eletto Vescovo Cardinale di Senigallia, Giulio I Gabrielli (11 Gennaio 1808 – 5 Febbraio 1816).
E’ stato un Vescovo eroico perché travolto dalle vicende napoleoniche: non avendo voluto firmare il giuramento a chi aveva invaso gli Stati della Chiesa fu deportato, sotto scorta militare, prima a Novara, poi a Milano e quindi in Francia.
Non volendo poi intervenire alla cerimonia nuziale dell’Imperatore con Maria Luisa d’Austria fu privato delle sue insegne cardinalizie con altri 13 Cardinali ribelli, chiamati i “Cardinali neri”.
Fu vicino a Pio VII° nel carcere di Fontainebleau con i Cardinali Consalvi e Pacca: poi tutti liberati nel luglio 1814.


Testo tratto da: “Senigallia e la sua Diocesi STORIA – FEDE – ARTE” – Mons. Angelo Mencucci – Editrice Fortuna 1994 ; “S.MARIA ASSUNTA – La chiesola del castello di Monte Porzio – storia, devozione, arte” – Mons. Angelo Mencucci.

Nel paese si trova la cosiddetta «chiesuola», che è la cappella pubblica dei conti di Montevecchio e di loro giuspatronato, dedicata a Maria vergine Assunta. La costruzione è del Settecento con un bell’altare di legno dorato e con tele del pittore fanese (un Ceccarini). Sull’entrata è posta la lapide con la seguente iscrizione: «Benedicto XIV P(ontifici) M(aximo) / Pompeium Raynaldum et Iosephum / Montis Veteris Montis Portii et Mirabelli comites / cum e vita decesserint, / coeterosq(ue) ex eadem familia, poenis purgatorii liberari / quoties pro eis / ad hanc aram oblatum f uerit sacrum, / concesserit / grati animi monumentum / anni) D(omi)ni MDCCXXXVIII».
Fa riferimento a questa lapide il seguente rescritto dello stesso papa Benedetto XIV: «La Santità di N(ostro) S(ignore) Benedetto XIV P(ontefice) M(assimo) attese le Preci ed i Meriti singolari del Conte Pompeo, Rinaldo e Giuseppe Conti di Montevecchio, Monteporzio e Mirabello, con sua speciale Grazia si è degnata concedere nella pubblica Cappella di Maria Vergine Assunta di loro juspatronato posta nel Castello di Monte Porzio, loro Feudo, Diocesi di Senigallia, l’altare Privilegiato Quotidiano Perpetuo per ogni Messa, che da qualunque Sacerdote si celebrerà per l’anima tanto de’ medesimi Conti, quanto di qualsivoglia altro della loro Famiglia passato e futuro: Volendo la Santità Sua, che di tal Concessione se ne eriga a perpetua memoria nella predetta Cappella Monumento, come appare dalla Grazia segnata il dì 7 maggio del corrente anno 1748 del suo Pontificato anno VIII per la Sac(ra) Congreg(azione) delle Indulgenze e S. Reliquie e sottoscritta

T. J. Card. Portocarrero
Erba Protonotarius Apostolicus»

Tratto da “Monte Porzio
e Castelvecchio nella storia” Mons. Alberto Polverari

SVILUPPO DI MONTEPORZIO

(Secoli XVI-XVIII)
Il centro abitato di Monteporzio, il cui territorio ricorda la presenza degli uomini fin dall’età della pietra, le successive immigrazioni dei pregallici, dei Senoni, dei Romani, dei Longobardi e dei Bulgari e l’opera di civilizzazione cristiana ed agricola dei monaci di Santa Maria in Portuno, di San Lorenzo in Campo, di Fonte Avellana e di San  Gervasio fino alle infeudazioni a vari signori, inizia il suo sviluppo con i conti di Montevecchio. Abbandonati alla loro sorte i vari castelli del territorio e lasciate nella campagna le colonie agricole, la vita viene concentrata nel castello del «fondo Monteporco», probabilmente quello già detto di «Gerardo». Così i primi nati e battezzati, quali vengono segnalati dal libro parrocchiale più antico sui battesimi, sono di genitori provenienti da San Vito e da Montevecchio, cioè dai luoghi di provenienza dei nuovi signori. Del resto anche i pievani più antichi, dopo l’investitura del 1429, e cioè Francesco, Giovanni Battista Marini e Girolamo Santi sono di Montevecchio.
Scrive il Locchi: «Monteporzio facendo parte del Vicariato di Mondavio, di esso seguì le sorti del 1462 al 1520 e appartenne quindi per breve tempo ad Antonio Piccolomini, nel 1474 a Giovanni della Rovere e nel 1516 a Lorenzo De Medici. Alla morte di questi, il Pontefice Leone X, con bolla del 1520 restituì tutto il vicariato di Mondavio ai Fanesi ed il Sindicus Montis Podii, a somiglianza dei magistrati dei Castelli dell’intero vicariato, giurò fedeltà ai magistrati di Fano. E dobbiamo credere che il castello da quell’epoca abbia sempre seguito le vicende di Fano, poiché non abbiamo altre notizie particolari».
Tutto ciò è una somma di gravi errori, ripetuti poi da altri e determinati dal primo grave errore nell’identificare il castrum Montis Podii, il Poggio (volgarmente detto «cl Poi») sito tra San Giorgio e Orciano, con Monteporzio, come già si è accennato nel capitolo VI in merito alla etimologia del nome. Nel libro dei matrimoni, 24 aprile 1599, si parla di un matrimonio avvenuto tra un certo Giovanni Battista di Ludovico de Castro Podii (castello del Poggio) e donna Lucrezia di Matteo di Monteporzio. L’esame stesso della bolla menzionata induce a ritenere che il castello del Poggio sia appunto l’odierno Poggio. Nella bolla di Sisto IV, con la quale nel 1474 egli concede al nepote Giovanni della Rovere la signoria su Senigallia e sul vicariato di Mondavio, vengono nominati i seguenti luoghi: Orciano, Poggio (Podii), San Giorgio, Piagge, Cerasa, Monte Maggiore, Rupoli, Villa Cavallara, Monterado, Sant’Andrea, Fratte, Reforzato, Barchi, San Vito, Montirolo, Turricella, San Costanzo, Montesecco, Mondolfo, Scapezzano, Roncitelli, Tomba (Castel Colonna) e Ripe; sono omessi Montalfoglio, Monteporzio e Castelvecchio, perché soggetti alla signoria dei Montevecchio.
Monteporzio non ha nulla a che vedere con il vicariato di Mondavio; ci sarà qui il «vicario» ma sarà il vicario dei Montevecchio. Similmente con le vicende di Fano, a parte il fatto che i conti di Montevecchio, pur abitando molti mesi dell’anno a Monteporzio, tenevano a Fano la loro abituale residenza ed erano iscritti a quella nobiltà cittadina. Si è già accennato nel capitolo VIII che alla morte del conte Ippolito nell’anno 1647 Montevecchio passò direttamente al dominio della Chiesa ma che ai conti di Montevecchio erano rimasti i castelli di Miralbello e di Monteporzio. In questa signoria si svolgono le vicende di Monteporzio, completamente disattese, ignorate ed  implicitamente contraddette  dal  Locchi:  sono  le  vicende  di  oltre  tre  secoli  di  un piccolo «Stato». Sopravviverà questo Stato fino a Napoleone, come si dirà più avanti, analogamente a Genga e Frontone.
Questa signoria aveva i suoi regolamenti, i suoi statuti. La Marchesa Laura di Montevecchio Almerici pubblica alcuni documenti della giurisdizione feudale2. Qui si riproduce anche il seguente documento: «Li Conti di Monte Vecchio, Monte Portio e Mirabello. Dovendo Noi provedere la Compagnia delle  Militie  di  Monte  Portio  e  Miralbello  di  Capitano  esperto,  fedele,   e diligente; et essendo informati che nel Sigr. Malagige Brunori le predette qualità concorrono, volontieri ci siamo indotti ad honorarlo del sudetto carico, si come facciamo, eleggendolo in virtù di questa nostra lettera patente, costituendolo, e deputandolo a nostro beneplacito Capitano della sudetta Compagnia con gli honori, pesi, facoltà, e privilegi soliti a godersi da simili Uffiziali. Commandiamo però a chiunque spetta, che per tale l’accettino e riconoschino sotto pena della nostra disgratia, et altre de nostro arbitrio, et in fede etc. Data in Fano li. XXI. di Gennaro. MDCLV». Seguono le firme autografe «Francesco Maria-Annibale di Montevecchio» e «Benedetto Fermani secretario».
Qui si dà l’indicazione per ulteriori studi, a maggiore conoscenza delle vicende storiche e della vita sociale, economica e religiosa in quei secoli, nella ricerca presso l’archivio dei Montevecchio. Ma anche nell’archivio comunale di Monteporzio  sono conservati interessanti  documenti, raccolti in un  fascicolo «Frammenti di Processi vari anni» dal sec. XVI al XIX. Per qualche esempio, si ricorda la questione sorta tra i fratelli Guidi Gabriele e Domenico per l’eredità del loro padre Andrea di San Costanzo in un documento datato 27 febbraio 1775. Il 6 marzo 1801 si ricorda ancora Domenico Guidi detto il «Sergente». Il 26 agosto 1770 si richiama una querela di Antonio Galli e Biagio Bedinotti contro Andrea Renzi detto il «Bravo», che in una partita di bocce «di una foglietta» aveva scagliato una boccia, aggredito il Galli. Il Renzi, inquisito, condannato e carcerato, poi liberato supplica i signori conti per non essere esiliato. Il fascicolo raccoglie vari atti dei conti, attestati, come quello del 2 novembre 1733 del cerusico Mauro Antonio Pongetti…
Dopo oltre un secolo dall’arrivo dei Montevecchio il numero della popolazione era salito a circa 200, quando verso la fine del Cinquecento si era reso necessario, come si è già accennato, l’ingrandimento della chiesa pievanale5. Nel Settecento viene compilato in tutte le parrocchie della diocesi di Senigallia, precisamente nel 1769 al tempo del vescovo Ippolito De Rossi, uno stato d’anime assai esatto, con la indicazione delle famiglie, dei componenti di essa distinti per età e sesso. Allo scopo pastorale viene qui notato il conferimento dei sacramenti: a parte il battesimo evidentemente sottinteso, di ogni  persona  si  rileva  se  cresimata,  confessata  e  comunicata6.  È  facile  la supposizione di mancanza di sincerità e di spontaneità nel caso. Tuttavia non si deve fare l’affermazione a priori di tale mancanza; del resto fino ai nostri giorni, cioè a un secolo dalla cessazione di certe disposizioni o, che dir si voglia sia pure impropriamente, imposizioni, la frequenza ai sacramenti è pressoché plenaria. Data l’usanza di allora di non ammettere alla prima comunione i ragazzi prima di 12 anni, è notevole il caso di alcune anticipazioni, come di Domenico Pierpaoli (n. 29) e di Teresa Francesconi (n. 331), rispettivamente di 10 e 7 anni.
Su questo Stato delle anime si possono fare rilievi assai interessanti sotto l’aspetto demografico e sociale in genere. Però alcuni di questi rilievi,  come sulla natalità, nuzialità e mortalità, si possono fare soltanto insieme con l’esame dei libri parrocchiali dei battesimi, dei matrimoni e dei morti. Qui l’interesse viene limitato ad alcuni prospetti generici sulla popolazione distinta nella campagna e nel castello, per famiglie, per età e sesso e sulla classificazione delle famiglie secondo il numero dei componenti.

a)Popolazione distinta in campagna e nel castello e per famiglie:
famiglie    popolazione
in campagna    40                 350
nel castello        59                222
totali                     99                572

b)Popolazione distinta per età e sesso:
anni    maschi    femmine    totali
1-6           33                 27            60
7-12        43                 42            85
13-20     46                 44            90
21-60    152             130         282
61-70       16                23            39
71-80         9                    4            13
oltre 80    2                     1
(totale popolazione)        572

c) Classificazione delle famiglie secondo il numero dei componenti:

Numero dei componenti    famiglie contadine    nel castello    totale
1                                                           –                                     7                   7
2                                                          2                                      8               10
3                                                          5                                    11              16
4                                                          2                                    16              18
5                                                          5                                       8              13
6                                                          5                                       4                9
7                                                            –                                        3               3
8                                                          4                                        1               5
9                                                          3                                         –                3
10-15                                                8                                        1               9
16-20                                                5                                         –               5
29                                                       1                                         –                1

Da questi dati si rileva come i contadini siano in numero nettamente superiore a quello dei paesani e che il numero delle famiglie e della popolazione in campagna sia inversamente proporzionale a quello delle famiglie e della popolazione nel paese: cioè sono più numerosi i contadini con minor numero di famiglie. Ciò è evidentemente dovuto alla diversa condizione socio-economica.
Per l’età media si rilevano questi dati:
in campagna    28,39%
nel castello    30,65%
in tutto il territorio    29,27
Anche qui la diversità di tipi di famiglie (con famiglia patriarcale contadina, dove i figli rimangono sposando) evidenzia la ragione della diversità dell’età media. Anche a prescindere dalle variazioni di fronte  ad altri periodi e dai dati sulla natalità, nuzialità e mortalità, questi dati sono già interessanti.

Una carta topografica, rinvenuta nel palazzo dell’amministrazione di Terni  (ex  palazzo  del  duca)  e  disegnata  nel  Settecento,  dal    titolo
«DISEGNO    DEL    CASTELLO    DI    MONTE    PORTIO», è fondamentale per lo studio sullo sviluppo del centro storico. Al centro  si nota il «Palazzo del Pubblico dove sta il Vicario» e che fino ai tempi recenti era sede del municipio. Contigua è la chiesuola, la «Chiesa dei Signori Conti», di cui si è già parlato nel capitolo IX. La carta, che qui viene riprodotta all’attenzione dei lettori, mostra i «tre palazzi» cioè le case di vari e numerosi conti, che si possono individuare nell’accluso albero genealogico.
Si notano la piazza pubblica, dove è tuttora, le strade pubbliche, particolarmente la «Strada pubblica che va verso il fiume», la quale scendeva subito dietro il tempietto della «Polissena» addossato alla casa dei Catalani (già dei Benni) e la «Strada pubblica che va verso Orciano» e portava alla pieve di Sant’Angelo isolata completamente. Intorno a questo tempietto si radunava il popolo ogni sera, al suono della campanella (che esiste tuttora), per la recita del santo Rosario, pratica fatta cessare dal sindaco Annibale Pinzani farmacista. Vi erano allora due osterie, una del conte Astorre nel sito della «locanda di Tullio» e l’altra del conte Pio. Stalle, forno, loggietta, case «de Particolari» (cioè di privati o concesse dai conti ai privati), fratta «che circonda il sito occupato dal Signor Conte Camillo nella Piazza publica» completano il centro storico, ben ordinato e provvisto, aperto e sereno senza preoccupazioni militari. Nel primo Ottocento, come si vedrà più avanti, saranno fabbricate le case della via Mazzini fino all’incrocio con via Pinzani (già via Forbiciai e detta «costa del pozzo»), un terzo di quelle di questa via e parte di quelle dietro i palazzi, con la chiesa parrocchiale sempre isolata.
Lo sviluppo del paese, come si è accennato, è dovuto alla scelta dei conti di Montevecchio, cui era assai gradito il soggiorno di  questo luogo, specialmente dalla seconda metà del Seicento, da quando cioè era stato tolto a loro il feudo originario del castello di Montevecchio. I  nomi dei conti, già nel capitolo IX ricordati nella costruzione della chiesuola e cioè Pompeo (Camillo) di Annibale e Rinaldo di Francesco Maria II della linea di Rodolfo si ritrovano ancora nella seguente iscrizione sotto l’orologio comunale insieme con Federico succeduto al padre Giuseppe di Camillo di Pierluigi II (= Guido): «Pompeius. Federicus. Rainaldus. / comites. Montis. Veteris. / ex cur An(no) D(omini) / MDCCXXXXIII».
Specialmente con il conte Pompeo Camillo Monteporzio era divenuto residenza abituale dei Montevecchio. Pompeo Camillo,  passato a seconde nozze con Maddalena, figlia del duca Isidoro Benedetti di Spoleto, dalla quale poi ebbe 12 figli, per soddisfare ai desideri di questa sua moglie aveva restaurato la sua villa di San Biagio presso Fano. Ma essendo quel luogo insidiato dai corsari, i conti si ritirarono nell’asilo sicuro della contea di Monteporzio.
Nel Settecento un nuovo impulso viene dato alla vita economica della contea con la concessione delle quattro fiere da parte del papa Clemente XIII in data 6 gennaio 1763, come dalla seguente Notificazione: «Si è degnata la Santità di N(ostro) S(ignore) Papa Clemente XIII felicemente regnante, con suo speciale Chirografo, in data dei 6 Gennaio 1763 di concedere al Castello di Monteporzio, di diretto dominio dell’Abbazia di S. Lorenzo in Campo, con Territorio separato, Feudo dei Signori Conti di Montevecchio, la facoltà di potere in esso fare ogni anno in perpetuo quattro pubbliche Fiere; cioè la prima il 28 Sett. e le altre negli ultimi tre mercoledì d’Ottobre con tutte le Libertà, Franchigie ed Esenzioni, che si godono in tutte le altre Fiere dello Stato Ecclesiastico, con di più l’Esenzione anco da quelle Gabelle Camerali, specialmente dell’Estrazione, alla quale non è soggetto detto Castello di Monteporzio. Sono perciò invitati tutti a concorrere nelle mentovate Fiere per prevalersi di simili Franchigie, con sicurezza di ricevere ogni più onesto e civile trattamento. Dato nel Palazzo di Monte Porzio…, Luglio 1763».
Per la maggiore conoscenza della vita economica del castello, specialmente in relazione alla produzione agricola, si segnalano i due volumi conservati nell’archivio comunale di Senigallia, nn. 821, 822 (acquistati recentemente): il primo è il Libro di Entrate, e d’Esito di Casa di Monteporzio dai 3 Dec. 1748, a tutto Maggio 1761 (al tempo del conte Giulio di Pompeo Camillo); l’altro il Libro Magazzeni in Monteporzio dell’Anno 1721, a tutto l’Anno 1733 (al tempo di Pompeo Camillo).
Corona il secolo felice del Settecento la costruzione del Palazzo Montevecchio, cioè quello del duca (a sinistra guardando l’orologio), opera dell’architetto arceviese Andrea Vici, discepolo del Vanvitelli.
La storia di Monteporzio è legata quasi fin dalle origini alla famiglia Gabrielli dei conti di Montevecchio. Fino al Quattrocento o ai primi del Cinquecento non si può parlare della esistenza di un vero  centro abitato, ma soltanto di una pieve cioè di una popolazione sparsa nel territorio e, se mai, raggruppata presso i vari castelli. Con i Montevecchio il paese ha in comune anche lo  stemma.
La famiglia Gabrielli, di cui i conti di Montevecchio sono un ramo, è tra le più nobili e antiche famiglie di Gubbio. A questa famiglia apparterrebbe la cristiana Eudossia, che nell’anno 290 avrebbe nascosto in casa sua il martire San Secondo. L’albero genealogico risale a Cante Gabrielli, protospatario e cognato di Alberico marchese di Toscana e che liberò nel 930 il papa Stefano VIII dalla oppressione di Ugo  di Arles, re d’Italia. Tra i membri più illustri si ricordano il beato Forte eremita di Fonte Avellana, morto il 9 maggio  1040,  e  Girolamo, che nel 1098 condusse gli Eugubini alla crociata sotto Goffredo di Buglione4. Sembra che fosse stato della stessa famiglia san Rodolfo, vescovo di Gubbio, che venne scelto da san Pier Damiani insieme con Teodosio, vescovo di Senigallia, censore delle sue opere5 e che  insieme con i fratelli maggiori Pietro e Giovanni e la madre Rozia aveva donato all’eremo di Fonte Avellana nel 1057 la villa di Camporeggiano con la chiesa, poi famoso monastero.
Nel sec. XIII la famiglia Gabrielli si divide in tre rami, dai tre figli di Gabriele di Ermanno I: Pietro, Ermanno II e   Ubertino.
Il ramo di Pietro si afferma in Gubbio, di fazione guelfa: da esso discende, tra gli altri, Cante Gabrielli, che nel 1302 firma, come podestà di Firenze, la condanna all’esilio di Dante Alighieri. Il ramo si estingue nel Settecento.
Il ramo di Ubertino dirama a Scapezzano e poi a Senigallia: i Gabrielli, nobili senigalliesi, di cui è noto il poeta Girolamo, imparentatisi con i Mastai, si estinguono nel  Settecento.
Il ramo di Ermanno II ottiene il feudo di Montevecchio (comune di Pergola), si afferma in grande parte della valle del Cesano e viene ascritto alla nobiltà di Fano. Pietro, figlio di Ermanno II, è     il primo ad assumere il titolo de Monte Vetulo; così in seguito i discendenti continuano, secondo l’uso longobardo, a chiamarsi  dal  nome del feudo, lasciando poco a poco il nome   primitivo.
Da Pietro «di Montevecchio» nasce Ermanno III o Nuccio o Rainuccio. Con i figli di Nuccio iniziano o si affermano le fortune dei Montevecchio, militari con Cante ed ecclesiastiche con Pietro, che, monaco, prende il nome di Monaldo e diviene abate di San Lorenzo in Campo. Cante ha nove figli, di cui cinque maschi: Masio o Maggio, Pietro, Monaldino, Francesco, Nucciolo. Masio è un famoso capitano e Compagno del signore Galeotto Malatesta. I suoi quattro fratelli sono i conti di Mirabello destinatari delle bolle di Bonifacio IX. Nucciolo, monaco, prende il nome di Ugo ed è l’abate di San Lorenzo in Campo che il 24 ottobre 1428, nella sua casa del castello di Montevecchio, concede a Guido, figlio del fratello Francesco, l’investitura sul poggio o castellare di Monteporzio con il suo fortilizio, sul castellare Vecchio (Castelvecchio), sul castellare di Berardo e sul castellare di Busicchio.
Questo documento, su cui si basa mezzo millennio della  nostra storia, precisa chiaramente i confini della concessione: i quattro lati definiti sono il fiume Cesano, il rio San Michele o Saletto (al confine con Mondavio e Orciano), la «serra» ossia lo schienale delle colline da Monte Cucco a San Giovanni (al confine con San Giorgio e San Costanzo), il Rio Maggiore, lati comprendenti tutto il territorio del comune di Monteporzio più parte di quelli di Monterado. Corrisposta è la consegna annuale nella festa del Natale di quattro porci del peso di trecento libbre ognuno e il versamento, all’atto della concessione, di cinquecento ducati. Questa concessione è fatta fino alla terza generazione in linea retta certa legittima mascolina finita, con la riserva da parte del monastero di «entrare, stare, dimorare, pascolare, uscire e tagliare la legna alta o bassa per edificare o riparare il monastero o le sue case». Il 28 ottobre 1429 lo strumento, redatto dallo stesso notaio del precedente, Ludovico di Giovanni di Pergola, è stato ratificato.
Ma subito iniziano le difficoltà dei Montevecchio per conservare questa investitura. L’anno seguente, 1429, i Malatesta attraversano un momento critico a causa della morte di Carlo, della legittimazione dei figli bastardi di Pandolfo III (Galeotto Roberto, Sigismondo Pandolfo e Domenico detto Malatesta Novello) e delle intenzioni di Martino V a favore dei Malatesta di Pesaro, con i quali il suo casato di Colonna si era imparentato. Nel 1430 i tre fratelli riescono a superare le difficoltà per  le loro investiture e se ne ricordano solenni festeggiamenti a Fano, dove il conte Guido era stato nel 1429 riconfermato reggente dai Malatesta. Sembra accertato dunque che in quell’anno, precisamente 1’8 novembre 1430, il conte può vedere risolta da una bolla di Martino V a suo favore la questione su Monteporzio, contro Guido di Niccolò, consanguineo dei Montefeltro12, che già aveva occupato San Vito e Montirolo, castelli quindi restituiti ai Montevecchio. Guido di Montevecchio muore nel novembre 1431 a Fano in difesa di Sigismondo Malatesta, assalito in una sommossa popolare, fomentata dai Malatesta di Pesaro, nel suo stesso palazzo.
Dopo questa morte ritornano le difficoltà e le incertezze, specialmente per le vicende di Francesco Sforza, che nel 1433 occupa San Lorenzo in Campo, rioccupato poi da Sigismondo Malatesta nel 1439. Forse per  tali incerte vicende i Montevecchio trascurano di versare il canone annuo e vengono meno alle clausole del contratto, per cui  Monteporzio, Castelvecchio e gli altri castelli ritornano al dominio diretto del monastero. Ma intanto si afferma la potenza di Sigismondo e con questa quella dei suoi capitani Luigi Seniore e Roberto o Ramberto di Montevecchio, figli di Guido. Così il vecchio abate Ugo può rinnovare l’investituta di Monteporzio con il suo territorio negli stessi confini della prima a questi suoi pronipoti il 25 novembre 1455 per il versamento di trecento ducati d’oro e per la pensione annua di una candela di cera da una libbra nel giorno della festa di san Lorenzo di agosto.
I due fratelli Ramberto e Luigi, rimasti sempre in comune accordo, di cui il primo uno dei più famosi capitani di Sigismondo Malatesta e l’altro intitolato conte di Nidastore (comune di Arcevia e diocesi di Fossombrone) per aver cacciato da Arcevia Francesco Sforza, combattono nella famosa battaglia del Cesano. Sconfitti, corrono a difendere Montevecchio ma devono cedere di fronte alle forze preponderanti di Federico da Montefeltro e costretti  a  giurare fedeltà alla Chiesa. Riescono tuttavia a conservare i loro possedimenti, mantenendo buoni rapporti sia con i Montefeltro sia con i Malatesta.
Il potente cardinal Bessarione, quale abate commendatario di Fonte Avellana, continuando la vecchia questione, di cui si è già parlato nel capitolo precedente, rivendica grande parte del territorio della «corte di Monteporzio» alla sua abbazia e di fatti il 16 marzo 1465 a Viterbo concede l’enfiteusi a Ramberto e ai tre figli di Luigi Seniore e cioè Piergherardo, Giovanni Francesco e Prospero Piaggiolino e Pian della Stacciola, previo versamento di cinquecento ducati e per il canone annuo, nella festa di Sant’Albertino, di dieci soldi.
Due giorni prima, 14 marzo, il conte Ramberto, che dietro la minaccia della scomunica, aveva ceduto al cardinal Bessarione, si era premurato di ottenere la licenza del cardinal Oliva, abate di San  Lorenzo in Campo, per ricevere tale investitura.
Ma il possesso in società tra Ramberto ed i suoi nepoti non è più possibile e nella divisione a Ramberto tocca Castelvecchio con Piaggiolino e Pian della Stacciola e ai  tre  fratelli  Piergherardo, Giovanni Francesco e Prospero tocca Monteporzio e gli altri luoghi. Ramberto muore nel 1473, certamente prima del 31 gennaio 1475, quando il Cardinal Giuliano, abate commendatario di Fonte Avellana rinnova l’enfiteusi alla moglie Bianca per la parte  concessa  dal  cardinal Bessarione. Gli stessi tre fratelli, figli di Luigi Seniore, il 4 gennaio 1474 vengono creati dal papa Sisto IV  vicari  di  Montevecchio, conti di Miralbello e feudatari di San Lorenzo in Campo19.
I tre figli di Ramberto e cioè Guid’Antonio, Ottaviano e Roberto muoiono senza figli. Il conte Ottaviano vive più a lungo. Questi il 2 febbraio 1495 fa un testamento, in cui, tra l’altro, lascia al cugino Piergherardo il castello di San Lorenzo in Campo e «castrum Castri Veteris, nuncupatum vulgariter Castelvecchio», ai pronepoti Giulio e Prospero, figli del cugino Prospero, il castello di Montalfoglio e al pronepote Luigi Iuniore, figlio del cugino Piergherardo, il castello di Miralbello. Il conte Giulio, famoso capitano, amico del Tiziano che   ne fa il ritratto, senza prole lascia erede il fratello Prospero che a sua volta è senza prole maschile21. Continua il casato Luigi Iunione con i due suoi figli Rodolfo e Roberto di cui si ricordano i discendenti fino  ad oggi. Questo Luigi viene fatto decapitare a Cagli dal  Duca  Valentino nel 1503.
Il conte Ottaviano muore tra il 3 marzo 1510, dopo aver fatto un secondo testamento23, e il 23 ottobre dello stesso anno quando il cardinale Sisto della Rovere investe Francesco Maria I duca di Urbino dei beni già posseduti in enfiteusi dal defunto conte e cioè di Castelvecchio con i castellari «Gherardi Berardi e Buticchi» e con il Pian della Stacciola. Ma tale concessione viene  annullata  con  il  breve di Leone X in data da Malliano del 29 aprile 1520 e diretto ai conti Francesco (fratello di Luigi iuniore che era stato ucciso) e ai fratelli Giulio e Prospero di  Prospero.
Il breve di Leone X era la conclusione della causa affidata al legato della Marca d’Ancona Francesco Armellino dei Medici, durante  la quale i beni contesi erano stati concessi a  Bonifacio  Fittello  di  Arcevia e a Pietro Antonio dei Guidalotti di   Urbino.
Nel 1534 Castelvecchio e Pian della Stacciola vengono concessi dall’abate di San Lorenzo in Campo al duca della Rovere di   Urbino.
Il 21 agosto 1542 Paolo III con un breve diretto a Rodolfo e a Roberto, figli di Luigi iuniore, conferma le bolle a favore dei Montevecchio concesse dai papi Bonifacio IX, Sisto IV e Giulio Il27. Gli stessi fratelli il 16 ottobre 1557 da Marco  Vigerio  (II)  della  Rovere vescovo di Senigallia e  amministratore perpetuo dell’abbazia    di San Lorenzo in Campo e suo nepote vescovo coadiutore e commendatario perpetuo della stessa Urbano Vigerio, che  poi  nel 1560 succederà nell’episcopato senigalliese, sono confermati nel possesso di Monteporzio «con la torre e  fortilizio»28.
Avendo il nuovo abate commendatario di San Lorenzo in Campo negato la rinnovazione della investitura su Monteporzio nel 1578 per   il tempo finita, un breve di Gregorio XIII del 9 ottobre 1584 e una bolla di Sisto V del 29 ottobre 1585 confermano tale investitura ai  conte Ercole, Federico, Camillo, Pierluigi e  Roberto.
Come si vede in queste vicende, Monteporzio fin dal 1428, con  brevi parentesi nei primi anni e al tempo di Francesco Sforza, rimane sempre nel possesso dei Montevecchio, diversamente da Castelvecchio, Piaggiolino e Pian della Stacciola. Il 7 agosto 1649 Castelvecchio viene venduto da Vittoria della Rovere, figlia di Francesco Maria II, ai principi Barberini30. La questione tra Fonte Avellana e San Lorenzo in Campo si acuisce specialmente dopo che i beni dell’eremo erano passati   al Collegio Germanico di Roma. Nel 1692 i Barberini entrano in possesso definitivo di Castelvecchio, così che quasi tutto il territorio a sinistra del Cesano da Ponte Rio al confine con Mondavio e Orciano arriva ai nostri giorni diviso in tre parti: il territorio parrocchiale di Monteporzio ai Montevecchio, quello di Castelvecchio ai Barberini e quello a sinistra del comune e parrocchia di Monterado al Collegio Germanico, che copo le vicende dell’Appannaggio napoleonico passerà ai Barberini.
Con la morte del conte Ippolito nell’anno 1647 il castello di Montevecchio passa al dominio diretto della Santa Sede ed ai conti   di Montevecchio rimangono soltanto i castelli di Miralbello e di Monteporzio, pur ritenendo essi il titolo di Montalfoglio, San  Lorenzo in Campo e Nidastore. Astorre, figlio di  Ippolito,  sposando Costanza, figlia del marchese Luigi Zerbinati, aggiunge per sé e anche per i discendenti  in  linea  indiretta  il titolo di marchese, titolo che i cugini eredi vendono al cardinale Federico Spada Veralli.
Il conte Giulio di Pompeo Camillo, quello stesso che fa costruire a Fano dal Vanvitelli il grandioso palazzo, diviene per testamento del 9 giugno 1746 erede universale del conte Pietro Martinozzi,  suo prozio, con l’obbligo di assumerne l’arma e il casato33 ed il figlio  Ermanno, educato al seminario romano, diviene per breve di Pio VII in data 27 aprile 1804 duca di Ferentillo (presso Spoleto) e principe di Umbriano del Precetto34. Dal duca  Ermanno  I nasce  a Monteporzio  il 9    novembre 1780 Giulio, celebre agronomo e amico del Foscolo, di cui si conservano lettere nell’archivio di famiglia.

DA NAPOLEONE FINO A VITTORIO EMANUELE II
(Anni 1797-1860)

Gli effetti della rivoluzione francese, che hanno cambiato la storia del mondo, non tardarono a raggiungere l’Italia, le Marche e, direttamente e radicalmente, i nostri castelli.
Napoleone Bonaparte entra in Pesaro il 5 febbraio 1797 e vi rimane fino al giorno 8, dando ordine a tutti i comuni di inviare una propria rappresentanza per il giuramento di fedeltà alla Repubblica francese. La sera del 9 arriva a Senigallia e ne riparte il mattino seguente; il giorno 19 firma la pace di Tolentino. Ma i soldati francesi si trattengono nelle Marche fino all’aprile.
La loro presenza è malvista universalmente dal popolo e contrastata anche con aperte ribellioni non raramente sanguinose, come a San Lorenzo in Campo, Mondolfo e Monterado1. Scrive il Nicoletti: «(…) si conosceva già fin troppo che fossero mai quella libertà, quella uguaglianza che ci venivano d’oltr’Alpe sulla punta di mille e mille  spade: profanazione di templi, taglie e balzelli insopportabili a tutto beneficio di altro popolo, prepotenze senza numero, ruberie da non dirsi. Quella libertà e quella uguaglianza le si conosceva a meraviglia»2.
Un anonimo, testimone degli avvenimenti, registra in un  manoscritto i fatti di San Lorenzo in Campo3. Qui si uniscono i  rivoltosi in gran numero, prendendo occasione dall’ordine della Amministrazione Centrale di Pesaro di requisire tutte le armi. Tra San Lorenzo in Campo, San Vito, Montalfoglio, Sant’Andrea, Castelleone e Montesecco si firma un patto di combattere uniti contro i Francesi. Assente,  come  si  vede,  è  Monteporzio.  Alla  notizia  della     rivolta, intervengono le truppe repubblicane, ma i rivoltosi, ben organizzati, al grido di Viva Gesù – Viva Maria – Viva il Papa infliggono una grave sconfitta ai circa mille soldati francesi, che sono costretti a ritirarsi lasciando sul luogo, verso Ponte Rotto, molti morti e feriti. È il 6 marzo di quell’anno 1797. Un corpo di truppe francesi si ferma a Monteporzio in attesa di rinforzi da parte del Goisson, comandante della piazza di Senigallia, che doveva riportare ordine nei paesi sollevati. Ma l’azione non ha seguito, perché il 10 marzo quattro deputati di San Lorenzo si recano a Senigallia per sottoscrivere una dichiarazione di sottomissione. La pace di Tolentino dura poco. Truppe russo-turche e austriache devastano i nostri luoghi. Si ricordano particolarmente le stravaganze dei Russi a Mondolfo4. Armatori inglesi predano le nostre spiagge. Nel 1805 ritorna il dominio francese e nel 1808 le Marche vengono annesse al Regno Italico. Il 12 febbraio viene alzato il tricolore francese in Ancona, sede dei tre Dipartimenti, nei quali sono divise le Marche: il Dipartimento        del    Metauro,    il        Dipartimento    del    Musone    e    il Dipartimento del Tronto. Monteporzio con Castelvecchio entra a far parte del «Regno d’Italia – Dipartimento del Metauro – Distretto e Cantone di Sinigaglia». Si rilevano qui due fatti fondamentali per la nostra storia: il primo è la soppressione del feudo dei Montevecchio, l’altro la unione di Monteporzio e Castelvecchio. La fine del feudo è di fatto definitiva, perché esso risorge col ritorno del governo pontificio nel 1815, ma soltanto per pochi mesi, come si vedrà qui avanti. In genere la formula per indicare la unione di Monteporzio e Castelvecchio è «Monteporzio con Castelvecchio»; anche nei documenti ufficiali si trova «Castelvecchio aggregato» a Monteporzio. Però ciò si deve intendere di Castelvecchio in senso autonomo: per questo da tempo il paese manifestava di staccarsi da Mondolfo, oltre che per le difficoltà della lontananza5. Nel 1809 «Ermanno di Montevecchio (è) Consigliere    autorizzato    del        Comune    di    Monteporzio con Castelvecchio». Nel marzo 1810 don Giovanni de Santi è «Procuratore del Signor Antonio di Montevecchio Presidente del Consiglio». Il 1 ottobre di quell’anno si accetta la perizia per un cimitero comune ai due «comunelli». Il seguente 18 ottobre è sindaco Giacomo Beliardi, quando in «rimpiazzo» al signor Antonio di Montevecchio «defonto» sono eletti il signor Rinaldo di Montevecchio e Pelinga Piermaria.
Con il ritorno di Pio VII a Roma e dopo la sfortunato tentativo di Gioacchino Murat, fallito il 31 maggio 1815, con la restaurazione del governo pontificio si ripristina la giurisdizione feudale dei conti di Montevecchio a Monteporzio, ma per pochi mesi, perché la soppressione viene confermata definitivamente con il Motu proprio di  Pio VII «Quando per ammirabile disposizione» del 6 luglio 1816 per  la «Reformatio publicae administrationis et tribunalium ditionis pontificiae»7, definito dal Marcolini «bel monumento di sapienza civile»8. Nel Riparto dei Governi del 1817 Monteporzio è comune unito al Governo di Mondavio nel Distretto di Sinigaglia, mentre Castelvecchio ritorna appodiato di Mondolfo9. Infine nel Motu proprio sull’amministrazione pubblica del 1827 Monteporzio, sempre unito al Governo di Mondavio nel Distretto di Sinigaglia è comune con Castelvecchio appodiato.Dall’anno 1827 si registra una certa regolarità negli atti dell’archivio del comune di Monteporzio con Castelvecchio appodiato, ma che aveva il proprio sindaco, nella Delegazione di Urbino e Pesaro.

Anni 1829-1830:
GIROLAMO FRONZI podestà NICCOLA POLVERARI priore comunale
SANTE MONTANARI sindaco di Castelvecchio.

Nel  1833  si  hanno  molti  atti  per  «l’ultimazione  della       chiesa parrocchiale di Castelvecchio. Già a Mondolfo nel consiglio del 28 giugno 1827 erano stati stanziati per la stessa chiesa 300 scudi12.
Negli anni 1832-1833 è sindaco di Castelvecchio Antonio Boccolucci.
Nel 1834 ritorna sindaco di Castelvecchio Sante Montanari, con Giovanni Guidi priore comunale.
Anni 1836-1837:
DI MONTEVECCHIO conte don GIULIO duca Benedetti priore MONTANARI SANTE sindaco di Castelvecchio.
Anni 1838-1841:
lo stesso conte GIULIO priore
ANDREA FABBRI sindaco di Castelvecchio.
Anni 1842-1845:
lo stesso conte GIULIO priore
PATERNIANO MAGINI sindaco di Castelvecchio.
Anni 1846-1847:
NICOLA POLVERARI priore
ANTONIO BOCCOLUCCI sindaco di Castelvecchio
Anno 1848:
conte ERMANNO DI MONTEVECCHIO priore GIROLAMO FABBRI sindaco di Castelvecchio.
Anni 1849-1850 con il ritorno del governo pontificio dopo le vicende della Repubblica Romana: Commissione provvisoria con FRANCESCO DI MONTEVECCHIO presidente
TAUSSI BIAGIO GUIDI DOMENICO
FABBRI GIROLAMO sindaco di Castelvecchio14
Anni 1851-1853:
TAUSSI BIAGIO priore
BRONZINI GIUSEPPE sindaco di Castelvecchio.
Anni 1853-1854:
GIOACCHINO PINZANI priore
GIUSEPPE BRONZINI sindaco di Castelvecchio.
Anni 1855-1860:
conte ERMANNO DI MONTEVECCHIO duca Benedetti priore ANTONIO PAOLINI sindaco di Castelvecchio15.

Al 6 agosto 1860 con l’annessione al Regno d’Italia si avrà la Giunta Provvisoria di Governo.
Da quanto sopra si nota che i conti di Montevecchio, pur avendo perduto il feudo, rimangono a Monteporzio spesso alla carica principale del comune; inoltre sempre qualcuno di essi è nel consiglio. È noto che essi si siano adoperati per l’Italia unita; se ne ricordano qui particolarmente due: Rodolfo di Antonio e Annibale di Giulio.
Rodolfo conte di Montevecchio, nato il 15 marzo 1802 a Fano da Antonio e da Barbara Richelmi dei conti di Boyl di Torino, perde il padre, che aveva militato sotto Amedeo III di Savoia, nell’aprile 1810, come già sopra detto, essendo stato questi nella carica di presidente del Consiglio comunale di Monteporzio16. La vedova Richelmi lo invia agli studi presso il seminario di Senigallia, quindi in quello di Pesaro ed infine all’Accademia Militare di Torino, ove egli si reca nel 1816, cioè all’età di 14 anni, accompagnato dal fratello Giuseppe. Si distingue per intelligenza e disciplina, segue Carlo Alberto nelle fasi del  riordinamento militare, viene eletto capitano del Reggimento Piemonte- Reale e quindi nel 1844 ottiene il grado di colonnello. Per le prove da  lui date nella guerra del 1848 viene decorato da Carlo Alberto a Vigevano della croce del militare ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (della quale onorificenza era stato insignito anche il padre Antonio). Per la spedizione in Crimea, decretata da Vittorio Emanuele Il, viene scelto a comandante della IV brigata. A sostegno della divisione Trotti lancia dalle alture della Cernaia le sue truppe, cade da cavallo con il petto squarciato. Il generale La Marmora in una lettera ad un amico scrive di lui: «Ho da lodarmi di tutti in generale ed in particolare di Trotti, di Mollard e del bravo Montevecchio, che, ferito, credendosi di morire, edificò tutti gli astanti per la sua fermezza e per i nobili e generosi sentimenti spiegati. Abbiamo qualche speranza di salvarlo»17. Invece poco dopo il coraggioso Maggiore Generale muore il 2 ottobre 1855.
Annibale di Giulio, conte di Montevecchio, di Mirabello, di Monteporzio, conte Martinozzi, tra i più distinti nobili fanesi, dalla prima giovinezza si era dato alla causa della unità d’Italia. «Questi prese parte attivissima ai moti del 1848. In Bologna, Volontario, fu Capitano di Cavalleria e combatté nel Veneto. Poscia ricercato dagli Austriaci dovette esulare in Toscana, ove guidò e mantenne un manipolo di emigrati. Ritornato in patria fu prigioniero nella fortezza di Pesaro. La lealtà del suo animo, la fierezza del suo carattere, impressionarono talmente i suoi persecutori, che loro malgrado, dovettero porlo in libertà»18. Si distinse particolarmente negli anni intorno all’annessione delle Marche al Regno d’Italia di Vittorio Emanuele II. Il 17 giugno 1859 viene nominato membro della Giunta provvisoria di governo a Fano insieme con il conte Camillo Marcolini, Gabriele Angelo Gabrielli e il dottor Girolamo Civilotti. Nello stesso giorno firma il proclama  della Giunta provvisoria di governo per la città di Fano e distretto al popolo fanese. Sempre nello stesso giorno insieme con gli altri membri della Giunta provvisoria fa «atto di formale adesione al nuovo ordine di cose istituito in Bologna dalla Giunta provvisoria di governo, e pregano perché a nome anche di questa città sia offerta la Dittatura al  Re Vittorio Emanuele II». Nell’assemblea del Comitato nazionale di Fano del 28 febbraio 1861 viene dichiarato «benemerito» di Fano e della Nazione. È il primo sindaco di Fano per molti anni e deputato provinciale quasi fino alla morte. Il 15 gennaio 1860 aveva firmato anche l’indirizzo da parte degli emigrati marchigiani ed umbri a Napoleone III, insieme con molti altri, tra i quali Augusto Matteucci di Senigallia ed i corinaldesi Vincenzo Cesarini, Bartolomeo dottor Cesarini e Francesco Turris19.
Si conservano nell’archivio statale di Pesaro le «copie delle mappe originali di Monteporzio comune di Monteporzio e di Castelvecchio appodiato di Mondolfo»20 nella «Provincia d’Urbino – Delegazione d’Urbino e Pesaro» del «Governo di Mondavio» (Monteporzio) e del «Governo di Mondolfo» (Castelvecchio). Sono capolavori di perfezione tecnica, tenendo anche presenti le difficili circostanze dell’anno 1825, quando queste carte vennero disegnate e dipinte. Saranno esse base di tutti gli aggiornamenti fatti nel Regno d’Italia fino al Novecento inoltrato.
Il borgo di Monteporzio si è allungato fino alla metà dell’attuale via Mazzini, lasciando sempre lontana isolata la pieve. Si è formato parzialmente un lato della via Ermanno Pinzani (già via dei forbiciai, detta volgarmente la «costa del pozzo»). Si noti l’arco che unisce i palazzi e le prime case dietro l’ex sede municipale.
Anche di Castelvecchio si ha il borgo originario, sorto dalla parte nord del castello Barberini e parzialmente dalla parte sud. Distaccata è la chiesa parrocchiale di Sant’Antonio. Verso il fiume si indica la località detta «Pieve» forse riferita al fondo di proprietà della parrocchia; verso nord, dietro la chiesa, la direzione della chiesa del Crocifisso.
Un accenno è necessario sul Consorzio dei comuni per la strada di San Costanzo, da Orciano al Ponte sul Metauro, sia perché gli atti originali sono conservati nell’archivio comunale di Monteporzio, da cui vennero pubblicati, sia perché in essi si nota la presenza di nuove famiglie monteporziesi, Pinzani e Benni, che ebbero poi personalità illustri, quali Ermanno Pinzani rettore magnifico della Università di  Pisa, cui è dedicata una via, e il generale dei carabinieri Giovanni Benni, sepolto nel nostro cimitero.
Su una istanza a nome dei comuni presentata il 3 ottobre 1852, il Consiglio Provinciale della Delegazione pontificia di Pesaro con  delibera del 26 aprile 1854 costituisce il «Consorzio della strada che  dalla Provinciale di Orciano conducesse nella Corriera Flaminia Lauretana presso il ponte nel fiume Metauro». La predetta istanza era firmata da 10 priori comunali e 3 sindaci di appodiati, cioè da un terzo della famiglia consortile. Gli altri comuni e appodiati si oppongono sia  al consorzio stesso sia in particolare al contributo della spesa. In una lettera al Delegato, firmata dal sindaco di Monteporzio Odoardo Montanari, in data 11 settembre 1859, si insiste sulle ragioni contrarie: Monteporzio non è affatto interessato alla strada, anzi ci perde  in vitalità commerciale. La questione si protrae a dopo l’avvento del Regno d’Itala. Nell’adunanza dei Comuni del Consorzio di San Costanzo del 6 luglio 1862 viene eletto a Presidente della Deputazione incaricata per le spese, per l’esonero dei comuni non utenti e per la riduzione del progetto il Delegato di Monteporzio «Di Montevecchio conte Rinaldo»; segretario ne è il segretario Benni. Un Decreto del Prefetto del 15 aprile 1865 costituisce un nuovo Consorzio restringendolo ai soli comuni di San Costanzo, Piagge, San Giorgio, Orciano di Pesaro, Fano, Mondolfo, Mondavio, Barchi e Monte Maggiore. Infine con Regio Decreto del 15 aprile 1865 Vittorio Emanuele II revoca il Decreto Prefettizio, ma i comuni avversi al Consorzio continuano le  opposizioni. Delegato di Monteporzio nell’Adunanza dei Comuni componenti il Consorzio per la strada di San Costanzo, tenutasi  a Pesaro il 15 gennaio 1868, è Pinzani Annibale, il quale nella votazione viene chiamato alla carica di membro del Consiglio di Amministrazione nella effettuazione del Regio Decreto.

NEL REGNO E NELLA REPUBBLICA D’ITALIA UNITA
(Dai 16, 17 settembre 1860 al presente)
L’annessione di Monteporzio avviene il 16 settembre 1860 e quella  di Castelvecchio il giorno seguente.
«La mattina del 16 (giugno 1860) Fano per prima, Pergola e Fossombrone subito con lei, e nel giro di 24 ore Senigallia, Urbino, Cagli, e quante terre e castella ha la Provincia abbattevano gli stemmi papali e salutavano il tricolore, acclamando Vittorio Emanuele»1. Tra queste «terre e castella» Monteporzio e Castelvecchio si nominano i membri per la Giunta Provvisoria Municipale. A Monteporzio sono chiamati i seguenti: conte Francesco di Montevecchio, Domenico Paolini e Michele Cattalani; a Castelvecchio: Magini Francesco, Montanari Odoardo e Bronzini Ercole.
L’annessione avviene in giorni distinti e luoghi distinti: il 16 settembre a Monteporzio ed il 17 a Castelvecchio. Alle ore 5 pomeridiane la popolazione si raduna al comune di Monteporzio e alle ore 9 antimeridiane del giorno seguente al comune di Castelvecchio, dove   le   rispettive   Giunte   Provvisorie   Municipali   dichiararono di «aderire pienamente al provvido Governo che va ad inaugurarsi sotto il glorioso nome dell’encomiato Monarca, sono stati immediatamente insediati ed hanno preso possesso del loro officio col pubblico plauso»2. Luigi Tanari è il Commissario Regio per la provincia di Urbino e Pesaro.
Nella Giunta Provvisoria di Governo del circondario di Mondavio è membro anche Montevecchio conte Francesco.
Gli atti citati dell’annessione, distinti per Monterporzio e Castelvecchio, sono gli ultimi a testimoniare l’autonomia di Castelvecchio. Nel Regno d’Italia non ci sono incertezze e questo paese rimane sempre «frazione».
Questa è la serie dei sindaci del Regno prima e della Repubblica poi, con la parentesi dei «podestà» sotto il regime fascista.

Anni
1861                  MONTANARI ODOARDO
1868                  FABBRI GIROLAMO
1870-1873    PINZANI ANNIBALE
1874-1877    ORAZIO marchese avvocato LATONI.
1878-1881
Gioacchino Pinzani ff
Tommaso Polverari ff
conte Astorre di Montevecchio assessore

Anni
1882-1889    conte ASTORRE DI MONTEVECCHIO  duca BENEDETTI
1889-1890    GIOACCHINO PINZANI
1890-1902    ANNIBALE PINZANI
1902-1909    DOMENICO PATRIGNANI
1910-1919    LINO MORICI, che nel 1919 è dimissionario 1919-1920    FRANCESCO BARBARESI
1921-1925    CESARE CANUTI
Nell’aprile 1925 viene il Commissario Prefettizio il dottor Giovanni Pompei; poi nel gennaio 1927 il generale Emilio Valentini. Guidi Antonio è delegato all’ufficio civile prima come delegato del Commissario poi del «Podestà».
1926        CESARE CANUTI «Podestà».
Nell’ottobre ritorna il Commissario Prefettizio Emilio Valentini.
1927-1928    GUALFREDO    DI    MONTEVECCHIO
1929        CESARE CANUTI Podestà
Nell’ottobre ritorna il Commissario Prefettizio.
1930-1937        ALFEO CERIOLI Podestà dopo pochi  mesi di Commissario Prefettizio.
1937-1944    UMBERTO DE MARCHI. Dal settembre  1927 a tutto il 1938 è Commissario Prefettizio; poi Podestà. L’ultima delibera del Podestà De Marchi è del 12 febbraio 1944.
1944        RAFFAELE    RAGNETTI.    Nel    marzo    è Commissario Prefettizio, nel settembre«  Sindaco
1944-1945    MARIO CARLONI Sindaco
1945-1946    BRUNO TESTAGUZZA Sindaco
1946 aprile     BENTIVOGLIO FRATTINI Sindaco
1951 giugno     VINCENZO MANCINI Sindaco 1956 giugno 9    UMBERTO DE MARCHI Sindaco 1960 novembre 19    EDO TOMASETTI Sindaco
1964 dicembre     ARMANDO FISCALETTI Sindaco
1970 giugno     LUIGINO BARBARESI Sindaco
1975 luglio     CAPOTONDI SANDRO Sindaco

L’elenco fa intravvedere gli avvenimenti accaduti in quegli anni. Al principio del secolo entra attivamente il movimento popolare nella pubblica amministrazione: il sindaco Domenico Patrignani è anche il primo presidente del circolo cattolico San Filippo Neri. La vicenda delle cariche di primo cittadino negli anni 1921-1926 prova il tormentato avvento del fascismo. I podestà Canuti e Cerioli lasciano un ricordo di buona amministrazione: al Cerioli particolarmente si deve il riordinamento della piazza principale del paese. Gli anni del De Marchi, prima podestà e poi sindaco, caso forse più unico che raro, dimostrano  i tempi difficili. Con la Repubblica, nell’alternarsi, con le nuove leggi, delle amministrazioni ora cattoliche ora di sinistra si sta sviluppando il nuovo Monteporzio ed il nuovo Castelvecchio, di cui è chiara prova lo sviluppo urbanistico dei due centri abitati.
Tale sviluppo urbanistico è in relazione ai cambiamenti sulle attività economiche e sulla popolazione.
Le fiere sono continuate fino al presente. L’avvento del Regno d’Italia aveva così confermato e variato i decreti pontifici:
Vittorio Emanuele II per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia. – Sulla proposizione del Ministro d’Agricoltura, Industria e Commercio abbiamo ordinato ed ordiniamo: Articolo 1°: Il Comune di Monteporzio, circondario di Pesaro, è autorizzato ad istituire quattro fiere, due nella frazione di Monteporzio e due in quella di Castelvecchio come segue. In Monteporzio: 1 Una fiera annua di merci e bestiame nel giorno 6 di Maggio, denominandola Fiera della Croce; 2 Simile nel giorno 21 Settembre denominandola Fiera di S. Matteo. – In Castelvecchio: 3 Simile nel giorno 20 di Marzo denominandola Fiera di S.Giuseppe; 4 Simile nel giorno 14 Giugno denominandola Fiera di S. Antonio. – Negli anni in cui alcuna delle suddette fiere venisse a coincidere con quelle dei comuni di Orciano e Mondolfo dovrà protrarsi al giorno successivo a quello stabilito. – Articolo 2°: Per ciascuna delle suddette quattro concessioni il Comune di Monte Porzio pagherà alla Finanza dello Stato la  tassa di scudi romani 10 fissata dall’art. 4 della circolare del Cardinale Camerlengo in data 26 Marzo 1824, e nel rimanente si uniformerà alle leggi e regolamenti in vigore non che a quelle disposizioni che venissero date nell’interesse dell’Agricoltura e del Commercio. – Il Ministro predetto è incaricato dell’esecuzione del presente Decreto che sarà registrato alla Corte di Conti. – Dato in Torino a dì 8 Giugno 1862. – Vittorio Emmanuele.
Al presente le fiere, che si tengono nei mercoledì di ottobre a Monteporzio, sono alquanto in declino, essendo molto cambiata la disponibilità    commerciale.    Nell’Ottocento    era    florida  l’industria artigianale delle forbici. Corre tuttora il detto «Forbici di Monteporzio e balsamo di Cantiano». Decine di famiglie vivevano con questa industria, forse la metà della popolazione del paese. I falegnami ed i muratori dovevano cercare gli operari forestieri, perché gran parte della mano d’opera era mobilitata dai forbiciai. Tale attività non poté resistere alla concorrenza delle macchine. Ne era il ricordo la «via dei forbiciai»  (detta ancora «costa del pozzo»), che ora si chiama «via Ermanno Pinzani», dall’illustre rettore magnifico della Università di Pisa. Si ricordano anche: gli ultimi forbiciai Nicola Testaguzza ed il figlio Umberto, l’ultimo venditore ambulante Antonio Polverari sacrista della pieve e l’imprenditore Agostino Gallina, avo del maestro Alberto Gallina, professore di organo al Conservatorio di Pesaro.

Un breve accenno, per la maggior conoscenza della identità della nostra popolazione, è necessario fare sulla presenza di Monteporzio e di Castelvecchio nel movimento cattolico diocesano. I due paesi qui sono stati pionieri del movimento. I circoli «San Filippo Neri» di  Monteporzio e «Sant’Antonio di Padova» di Castelvecchio sono i più antichi della diocesi. Don Antonio Paolini, pievano di Castelvecchio, è una personalità assai nota. Laureato in legge, aveva militato tra i socialisti. Fattosi sacerdote, i cattolici castelvecchiesi ottennero dal vescovo Tito Maria Cucchi che non fosse allontanato da Castelvecchio, dove venne eletto parroco. Fu candidato del Circolo San Paolino di Senigallia nelle elezioni provinciali del giugno 19074. Non meno zelante fu don Giovanni Cesari, parroco di Monteporzio, poi nel 1922 traslato arciprete di Arcevia. Fondò il Circolo San Filippo Neri, di cui la prima adunanza si tenne l’8 settembre 1900. L’Appendice 12  riporta l’adunanza del 25 marzo 1911 a prova della grande attività e vivacità di tale istituzione.
Si concludono queste memorie con uno sguardo allo sviluppo urbanistico dei due centri abitati, indice del movimento della popolazione e delle grandi trasformazioni sociali avvenute nell’ultimo decennio, specialmente nell’agricoltura e nella cultura. Il seguente prospetto urbanistico, che è poi uno sguardo riassuntivo del passato e preventivo del futuro, viene qui trascritto da un appunto dell’impiegato comunale, geometra Tommaso Testaguzza iunior, nipote  dell’omonimo, Tommaso Testaguzza senior, un pioniere della illuminazione elettrica, da lui portata, prima che in altre località, a Monteporzio, Castelvecchio e Fratterosa.
1948-1965.
Alcune sporadiche costruzioni di civile abitazione con due complessi artigianali: capoluogo Monteporzio il mobilificio Catria e frazione Castelvecchio la Fabbrica di serrande in plastica.
Cause principali di tale limitatezza:
1)    Il terreno nelle adiacenze dei due centri abitati era di proprietà di grandi proprietari terrieri e pertanto non vi era terreno disponibile sul mercato per costruzioni.
2)    Erano gli anni della grande emigrazione all’estero per mancanza di posti di lavoro e soprattutto di spopolamento delle campagne con emigrazione verso la costa del Marottese, del Fanese e del Senigalliese. La gente era completamente sfiduciata e non vedeva conveniente costruire una casa a Monteporzio e Castelvecchio.
1966-1968
In seguito alle ferme convinzioni ed agli sforzi di alcuni giovani tecnici del luogo e dell’amministrazione comunale, tendenti a rifondere fiducia nei cittadini e nei piccoli artigiani del luogo al fine di indurre a costruire a Monteporzio e Castelvecchio, si immettevano nel mercato a prezzi accessibili terreni destinati ad attività residenziali ed artigianali convenzionati con il comune a Monteporzio a sinistra del Viale Cante  di Montevecchio ed a Castelvecchio dietro il fabbricato delle scuole. Si iniziano così i primi fabbricati di civile abitazione ed artigianali.
1969-1970.
Dopo le prime costruzioni ed in base ai dettami della legge 765/1968 l’Amministrazione comunale ha sentito la necessità di far redigere un Programma di Fabbricazione al fine di suddividere il territorio in zone omogenee: centro storico – vecchi quartieri – zona di completamento e nuove terre di espansione residenziale, artigianale, industriale e zone per impianti pubblici. Detto Piano sia iniziale che nelle successive varianti, contrariamente alla legge, non è riuscito  a creare vere zone omogenee perché troppo condizionato nelle scelte a situazioni esistenti e ad interessi di piccoli artigiani o industriali locali, lasciando in secondo ordine la viabilità e il vero assetto urbanistico. Alla data odierna le ultime varianti del P. F. del 1978-1980 cercano soprattutto di ristrutturare e migliorare l’esistente con la previsione di grandi aree per impianti sportivi e attività culturali e dello spostamento dei complessi artigianali fuori dal centro abitato, individuando zone industriali ed artigianali ad una certa distanza dalla zona residenziale e migliorando la viabilità soprattutto urbana. Dette varianti pongono sin d’ora le premesse per far riscoprire ai due centri abitati la vocazione naturale. Alle amministrazioni future, ai tecnici del luogo, alla popolazione rimane il compito di migliorare ulteriormente l’assetto urbanistico per creare due centri storici al servizio comune e non abbandonati, di prevedere strade urbane della larghezza idonea, grandi parcheggi, grandi aree attrezzate a verde pubblico, di bloccare, come scelta urbanistica differenziandola dai centri più grandi quali Mondolfo, Marotta, Fano e Senigallia, l’edilizia in modo da fare fabbricati di piccole dimensioni con un massimo di quattro unità familiari con annessi giardino ed orto.
A tale visione urbanistica è legato il futuro di Monteporzio e Castelvecchio, la cui popolazione, pacifica e laboriosa, trovi qui residenza degna e conforme «all’aria soave, alle vaghe collinette, alle leggiadre pianure in vista del fiume Cesano», come ricordato dal Torri all’inizio di queste memorie.
Tratto da “Monte Porzio
e Castelvecchio nella storia” Mons. Alberto polverari

I NOSTRI CASTELLI INTORNO AL MILLE

CASTEL SAN PIETRO, CASTEL GIRARDO, MONTALPORCO,
MONTE CERREGNO E BUSICCHIO. CASTEL BERARDO E CASTELVECCHIO
I documenti, che fanno un pò di luce nei secoli bui dell’alto e basso evo medio per il nostro territorio, sono quelli stessi dei tre monasteri proprietari o possessori della maggior parte delle nostre terre e cioè: San Lorenzo in Campo, San Gervasio e Santa Maria in Portuno (Madonna del Piano).
L’abbazia di San Lorenzo in Campo 20, di cui Montalporco sarà un feudo, con l’iscrizione nella cripta di San Demetrio di Tessalonica, venerato dai militari greci, ci richiama al dominio bizantino della Pentapoli.
Il monastero di San Gervasio di Bulgaria ci richiama alla immigrazione dei Bulgari, di cui si ha il ricordo nella chiesa e nel castello di San Pietro dei Bulgari, il primo centro abitato noto nel nostro territorio.
L’abbazia di Santa Maria in Portuno, identificata con la Madonna del Piano nel territorio di Corinaldo, collega la nostra storia con l’insigne eremo di Santa Croce di Fonte Avellana, che poi con i beni della Madonna del Piano, unita ad essa nel sec. XII, troverà nei nostri luoghi, specialmente a Corinaldo e Monterado, la parte più ricca delle sue proprietà.
Di questi tre monasteri si hanno notizie su vari castelli, cui allude la ricordata iscrizione sulla distruzione di Suasa da parte di Alarico. Di questi castelli riguardano il territorio di Monteporzio: il Castel San Pietro dei Bulgari, il Castel Girardo, Montalporco, Monte Cerregno e Busicchio, siti nel territorio parrocchiale di Monteporzio; il Castel Berardo e Castelvecchio, siti nel territorio parrocchiale di Castelvecchio. Il castel San Pietro è ricordato nelle carte di San Lorenzo in Campo con la chiesa, il vico dei Bulgari, il fondo e la corte23: finora non è stato possibile identificarne l’ubicazione; dal sec. XII non se ne ha più traccia, mentre il riferimento alla «corte» di San Pietro potrebbe indurre alla identificazione con altri castelli.
Il nome di Castel Girardo o di Bono di Girardo ricorre frequentemente nelle carte di Fonte Avellana e di San Gaudenzio. Il nome della persona «Girardo» si ripete anche nel sec. XIV. Il più antico dovrebbe ritenersi il padre di Bono prete e fidecommissario, con Carboncello di Alberto, di Ingo di Giovanni, di Girardo suo figlio e di Pietro figlio di Girardo. Il castello è certamente distinto da quello di Montalporco, come anche dal documento, pubblicato in Appendice, sulla questione tra Fonte Avellana e San Lorenzo riguardo ai beni siti al «poggio o castellare di Gherardo, al castellare di Castelvecchio e al poggio o castellare di Montalporco». Una indicazione per la identificazione del castello viene dalle carte di San Gaudenzio, che parla di una via per andare da Monte Cerregno, di cui più avanti, al castello di Girardo. Un documento del 18 ottobre 1249 Castel Girardo viene situato in «Valdetenda», ma anche questo topo- nimo non è stato precisamente ubicato.
Il nome «Montalporco», in latino Mons Porcus o raramente Mons Porcorum, dal duecento in poi è il nome più usato ad indicare il fondo, il castello (o castellare o castrum), la corte, la pieve, e finirà per prevalere, escludendo gli altri, quando si formerà il centro abitato. È usato in vari modi: «Mont’al Porcho», «Mont’el Porcho», «Mont’Al Porcho»… Ma contemporaneamente allo sviluppo di questo centro abitato si sarebbe accentuato l’uso sgradevole del «monte dei porci» cosicché il termine venne cambiato in «Monteporzio». Già in latino si riscontra il nome Mons Portius alla fine del Cinquecento nel Ridolfi, più avanti citato. In volgare «Montalporco» resisterà fino alla prima metà del Seicento, nei documenti locali e curiali. Non vi è dunque nessuna incertezza sulla etimologia del nome «Monteporzio», piccola variante del nome originario. È opportuno tuttavia accennare ad altre tre etimologie secondo alcuni scrittori. Il Locchi, seguito dal Canestrari, propone la etimologia di «Monte del Poggio», appoggiandosi ad una bolla di Leone X, dove però Mons Podii si riferisce all’odierno «Poggio» sito tra Mondavio e San Giorgio28. Il Ridolfi, seguito dal Montanari, vede la origine da «Monte della porzione», perché nella divisione fatta tra i conti di Montevecchio a ciascuno sarebbe toccata la sua portio29. Il Torri infine fa derivare il nostro castello dalla famiglia romana Porzia, perché in questi luoghi si sarebbero svolte alcune fasi della battaglia del Metauro, nella quale si erano distinti il pretore Lucio Porzio Licinio e Marco Porcio Catone.
Il termine «Monte Cerregno», che si trova usato nei documenti dei secoli XII e XIII31, ha l’analogo significato di Montalporco.
«Cerregno» difatti significa «bosco di cerri» ed è lo stesso che «Cerreto» con la desinenza longobardica (come Morbegno, Casal Pusterlengo …), luogo ideale per l’allevamento dei porci32.
Il castello di «Busicchio» è nominato nel citato documento spurio sulla donazione di Castel Berardo all’abbazia di San Lorenzo in Campo da parte di Gottifredo di Aldigerio33 e in un documento avellanita del 24 maggio 1291 sulla vendita del con vento di Piaggiolino e di altri beni, tra i quali quelli siti nella corte di Castel Girardo, Castel Berardo e Busicchio, da parte degli eremiti di Sant’Agostino ad Albertino di Fonte Avellana34 Data l’incertezza dei documenti, si potrebbe fare l’ipotesi della identificazione di questo castello con quello di San Pietro nel vico dei Bulgari «in Bulgaresco» o Bulgnisco.
«Castelvecchio» per la prima volta si riscontra in un documento dell’aprile 1143 tra le carte di Fonte Avellana35 e poi ancora tra quelle di San Gaudenzio nell’anno 119636. Il sito è identico all’attuale. Come castello si svilupperà più tardi: nei secoli XII-XIII è segnalato come fondo nella corte di Castel Berardo37.
Anche «Castel Berardo» (castrum Berardi) si riscontra già in alcuni documenti del sec. XII. Il 3 agosto 1149 Panfilia dona all’abbazia di San Lorenzo in Campo i beni, siti in vari luoghi, tra cui Castel Berardo. È una donazione condizionata alla restituzione degli stessi beni dall’abbazia alla donatrice, che difatti nello stesso giorno li riceve in enfiteusi a terza generazione. Il nome del castello ritorna anche nel documento spurio della donazione di Gottifredo di Aldigerio de castro Berardi39. La corte di Castel Berardo comprendeva le «piagge di San Martino», site nel toponimo tuttora esistente, e si estendeva fino al rio Maggiore.
È necessario fare un accenno ai castelli del territorio di Piaggiolino fino a Ponte del Rio, ora per la maggior parte soggetto a Monterado ma allora sotto la corte di Castel Berardo (o anche di Montalporco in qualche documento) e la pieve di San Michele Arcangelo, come si vedrà al capitolo IX.
Sono qui ricordati particolarmente due castelli: il castello di Bulgaro e il castello dei Gufi.
Il castello di Bulgaro è nominato nelle carte avellanite-agostiniane in un documento del 27 dicembre 1264, quando Guiduccio e Ugolino figli del fu Paterniano di Castellare vendono agli eremiti di Piaggiolino una terra sita nella corte del Castellare Bulgari e nella serra di San Martino verso Rio Maggiore 40, e ancora in un altro documento del 13 febbraio 1265, in una vendita di Giovannetto di Castel Girardo agli stessi eremiti con il pegno, in caso di inadempienza delle condizioni, di una possessione sita nel Castellare di Bulgaro «in monte Galgano».
Il castellare «de Guphis» viene nominato in un documento avellanita del 7 dicembre 1290 e situato presso Piaggiolino42.
Una ipotesi potrebbe allargare le ricerche su questi antichi castelli, ritornando sulla ubicazione del castello e chiesa di San Pietro con il vico dei Bulgari, il fondo e la corte. Siccome non si è mai avuto la minima traccia di una chiesa di San Pietro nel territorio di Monteporzio (e di Castelvecchio), questa non potrebbe essere indicata nella chiesa presso Stacciola intitolata appunto a San Pietro? Tale ipotesi potrebbe essere favorita dai numerosi toponimi longobardici nella zona; nel caso sarebbe probabile la ricordata (alla nota 22) opinione del Pierucci.

SIGNORI FEUDALI
TRA I MONACI DI SAN LORENZO IN CAMPO E FONTE AVELLANA
La successione nei passaggi dei proprietari delle nostre terre non è un mistero ed è fondata, si direbbe esclusivamente, nella violenza e, quando si appella al diritto, si conferma sempre con il diritto del più forte. I vincitori Romani si appropriano le terre dei vinti Celti e le nostre campagne saranno state certamente oggetto della esecuzione della Legge Flaminia sull’Agro Gallico, come anche più tardi della legge triumvirale sull’Agro Senigalliese da parte dei Triumviri vittoriosi. Poi vengono i barbari e i documenti su atti stilati secondo la legge longobardica accerta che quasi tutti i proprietari terrieri sono Longobardi e Bulgari. Ma i signori non si sentono sicuri di fronte alla violenza dei rivali e allora cedono la proprietà ai monasteri, in genere rispettati, ma con una donazione condizionata cioè a condizione di poter rientrare in possesso dei beni donati con il diritto di enfiteusi. I monasteri poi si rafforzano chiedendo privilegi agli imperatori, ai re e anche ai papi ed ai vescovi e nel dare il possesso si preoccupano che la successione non vada al conte o al marchese o ad altra chiesa che non sia la loro. I comuni, le signorie, le commende continuano il sistema e così via fino ai nostri giorni, quando i compromessi sono compromessi di forze.
I documenti dei secoli XI-XV fino all’arrivo dei Montevecchio danno molti nomi dei signori, nomi prevalentemente germanici, che popolano questi luoghi, a cominciare dai due che hanno dato origine ai toponimi di Castel Girardo e di Castel Berardo.
Come è già stato ricordato, Girardo si riscontra fin dal 1090 nel prete Bono di Girardo e poi ancora nel castello Cerregno Boni Girardi del novembre 1126 e nella corte di Bono Girardi del 24 maggio 1139. Questo nome di Girardo si ripete nelle varie generazioni, come anche nello stesso documento del 1090 si parla di Girardo, figlio di Ingo di Giovanni e padre di Pietro. Nella citata pergamena 148 del Collegio Germanico. Giacomo di Castel Girardo rinnova il 5 novembre 1223 a Fonte Avellana il diritto di pascolo anche a nome del suo figlio Girardo. Questo Giacomo di Castel Girardo è un signore ricco e potente ed il suo nome ricorre spesso sia nelle carte di San Gaudenzio1 sia in quelle di Fonte Avellana2.
Anche Berardo, che ha dato il nome a Castel Berardo, è antico e si ricorda la prima volta nella citata donazione di Panfilia del 3 agosto 1149. Si può fare l’ipotesi che fosse già esistito nel secolo precedente. Pure questo nome ricorre in seguito, come nella più volte citata pergamena 148 del Collegio Germanico, nell’atto del 12 maggio 1189 quando Rocco e Berardo, figli del fu Tancredo, concedono il diritto di pascolo nella valle del Cesano a Fonte Avellana.
Altro signore ricco e potente del Duecento è Guido de Monte Porco, che è imparentato con il detto Giacomo di Castel Girardo, come si ha dal documento agostiniano, pubblicato dal Pierucci3, del 27 settembre 1269, quando «Giacomuzio, Guidolino (e Sora) figli della fu Kera, figlia del fu Giacomo di Castrogirardi, e di Artrotto di Guido di Monteporzio» si accordano su beni siti a Piaggiolino, nella serra di San Martino e nel fondo San Lorenzo antico (san Lorenzo è il titolare della chiesa di Piaggiolino). Ricorre più volte nelle carte di San Gaudenzio4.
Anche se il documento, già pure citato, e riportato in Appendice dei documenti nei Regesti Senigalliesi al n. 15 alla data del 4 marzo 1177 è dubbio, si ricorda Gottifredo di Aldigerio di Castel Berardo, persona probabilmente storica sia pure nella spuria o dubbia data e azione giuridica.
Due signore sono menzionate nelle donazioni a San Lorenzo in Campo: Imelda e Panfilia 5. Imelda del fu Guglielmo, con Corrado del fu Sifredo, dona il 21 ottobre 1127 i suoi beni, siti nel vico dei Bulgari ed in altri fondi e luoghi. Panfilia del fu Alberico il 3 agosto 1149 dona, consenziente il marito, le sue terre, vigne e alberi, siti in Castel di Mare, in Panicaria, in Marciano, in Fornaria, in Frattula, nel Castel Berardo ed in Roncole: come si è già detto, è una donazione esplicitamente condizionata a che tutto le sia restituito in enfiteusi a terza generazione, come di fatto avviene nello stesso giorno.
Queste citazioni sono soltanto indicative di persone dimoranti nei nostri luoghi in quei secoli bui e debbono essere arricchite e completate sui documenti, editi o no, tra gli autori e i destinatari, tra i testi e gli scrittori, in genere tra gli antroponimi.
Forse l’imparentamento di Guido di Monteporzio con Giacomo di Castel Girardo favorì l’unificazione di tutto il territorio compreso tra i confini di Orciano e Ponte Rio. Comunque, nel Trecento questa è un fatto compiuto, come si prova dal documento sulla lite tra le due abbazie di San Lorenzo in Campo e Fonte Avellana. Nella decadenza monacale di quel secolo e nella invadenza dei signori feudali vi era l’incertezza nell’attribuire a quale dei due monasteri avrebbe dovuto riferirsi la concessione enfiteutica, sulla quale i signori giustificavano il possesso delle terre. Di questa lite si hanno i dicta testium, cioè l’interrogatorio avvenuto probabilmente nell’anno 1442, certamente nel periodo dell’abate Ugo di San Lorenzo in Campo 6. Viene qui rivelata la successione dei cinque signori, che immediatamente precedono l’investitura ai Montevecchio e cioè: Giovanni Gugliozzi (Guiglocii, Guglottii) forse un Malatesta, Andrea suo figlio, Galeotto Malatesta di Rimini, Pietro Galeotti e Gaspare suo fratello.
Giovanni Gugliozzi possiede tutte le terre del nostro territorio con il poggio o castellare di Gherardo, con il castellare di Castelvecchio e con il poggio o castellare di Monteporzio fin dai primi anni del Trecento; anzi, stando ai documenti finora conosciuti, non è escluso che tale inizio sia negli ultimi anni del Duecento, trovandosi nella penultima generazione prima di Galeotto Malatesta, di cui più avanti.
I testi precisano anche i confini di questo territorio, che corrispondono più o meno a quelli indicati nella concessione dell’abate Ugo al nepote Guido e della quale si tratterà nel capitolo seguente. Inoltre aggiungono che a lui e dietro sua istanza venivano pagati i pedaggi; si precisa che egli teneva la manutenzione del ponte al Rio Maggiore (Ponte del Rio o Ponte Rio) e che tutti quelli che vi passavano con le loro mercanzie di qualsiasi specie dovevano versare il tributo.
Andrea succede al padre Giovanni, alla sua morte e senza soluzione di continuità.
Alla morte poi di Andrea gli succede Galeotto Malatesta, un personaggio tra i più celebri della storia italiana del Trecento: prima della venuta del cardinal Albornoz aveva conquistato quasi tutte le Marche con il fratello Malatesta ed il nepote Malatesta Ungaro, rendendo la signoria dei Malatesta la più vasta dopo quella dei Visconti; sconfitto a Paderno, ritorna in auge, viene insignito della dignità di senatore di Roma e, dopo aver portato la sua famiglia all’apogeo, muore vecchio a 86 anni a Cesena il 21 gennaio 13857. Soltanto i primi due testi, Pietro Verdelini e Lello Francioni, fanno esplicitamente il nome di Galeotto Malatesta; il terzo, Patricello di San Costanzo, parla in plurale dei magnifici signori Malatesta; gli ultimi due, Coppo e Brunaccio di San Costanzo, tacciono sui Malatesta e fanno seguire immediatamente ad Andrea di Giovanni i signori Galeotti Pietro e Gaspare.
Pietro Galeotti succede a Galeotto Malatesta alla morte di questi. Quanto afferma il teste Patricello, che parla in plurale dei Malatesta, si può spiegare ricordando la solidarietà tra i membri della famiglia riminese. Quanto poi alla successione immediata da Andrea di Giovanni a Pietro Galeotti, di cui parlano i due testi Coppo e Brunaccio, si può spiegare o perché non erano bene informati oppure considerando Pietro come vicario dei Malatesta.
Gaspare Galeotti, succeduto alla morte del fratello Pietro e su cui tacciono i primi due testi, è l’ultimo feudatario prima dei Montevecchio, che rimarranno per secoli signori di Monteporzio.
Il nostro territorio, essendo soggetto ai Malatesta, probabilmente non subisce danni con il passaggio della Compagnia di fra Morreale, che nell’inverno tra il 1352 e il 1353 saccheggia la valle del Cesano e particolarmente Mondolfo e San vito. I Malatesta avrebbero pagato 65 mila fiorini d’oro perché il gran flagello non recasse danni ai loro luoghi.
Già prima, cioè nel 1316, aveva interessato parte dei nostri luoghi un episodio della guerra tra Fano e Fabriano. In quell’anno i Fabrianesi avevano occupato e saccheggiato i castelli di Castelvecchio e di Stacciola.

Tratto da “Monte Porzio
e Castelvecchio nella storia” Mons. Alberto polverari